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Titolo originale: Les Triplettes De Belleville |
Sceneggiatura, storyboard,
disegno grafico e regia: Sylvain Chomet |
Voci dei personaggi:
Jean-Claude Donda, Michel Robin, Monica Viegas |
Musiche : Benoit
Charest, Mathieu Chedid |
Montaggio:
Dominique Brune, Chantal Colibert Brunner, Dominique Lefever |
Produzione: Les
Armateurs, France 3 Cinema', Rgp France, Production Champion, Vivi Film,
Canal+, Cofimage 12 |
Paese:
Belgio/Canada/Francia Anno: 2003 |
Durata: 80' |
Distribuzione:
Mikado |
Sito ufficiale:
www.lestriplettesdebelleville.com |
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Mi era stato chiesto di andare a vedere un film francese per il sito. Uao!
Sì,che bello! Grazie Nino dell’opportunità! Mercoledì mattina sarò lì, al
Quattro Fontane puntuale…come un orologio svizzero! Leggo il titolo del film
e, dato che non ne avevo ancora sentito parlare, decido al sorger del sole
del giorno della prima, di cercare sul web qualche informazione sulla
pellicola. Mi accorgo subito che la locandina, ben fatta e di gusto retrò,
almeno credevo, mi aveva tratto in inganno: il disegno anni ’50 che vi
campeggiava, e vi campeggia tuttora, non è, cheneso, una metafora del
racconto del film. “Vecchi valori alla riscossa. In una vietta di Parigi si
riscopre il gusto delle cose andate”. Nostalgico ed amante di
Amelie
Poulaine quale sono, era questo ciò che mi aspettavo. Ed era per questo che
avevo accettato il rendez-vous con la cittadina di nome francofono del
titolo.
Ed invece….ed invece, già da una rapida scorsa del web, mi rendo
conto che mi era stato commissionato un cartone animato. Un cartone animato?
Sì, cacchio! E se c’è una cosa che proprio non sopporto, forse già da
piccolo, sono proprio i cartoni animati. Sì, per carità,
Walt Disney è
sempre Walt Disney. Shrek non lo volevi vedere eppure hai riso molto. E poi
da un po’ di tempo a questa parte fa molto naïf
andare a vedere da adulti i cartoni. Ma a me proprio, di partenza, non vanno
proprio giù. Comunque, tanto valeva oramai sedersi comodi (?!?) ed aspettare
la proiezione. Tra critici in pieno orgasmo ed isteria post-veneziana ed i
loro figli-nipotini in crisi di pianto e parlantina, si spengono le luci e
comincia il “film”. La trama: Champion è un bambino solitario. La nonna, sua
levatrice, Madame Souza, capisce che l’unica passione del nipotino è la
bicicletta. Gliene regala una e lo allena in tutti i momenti del giorno,
fino a far arrivare Champion al Tour de France. Durante una tappa,
all’oscuro della nonna e del cane Bruno, Champion viene rapito dalla mafia
francese e portato in un posto che è un incrocio tra New York e Montreal:
Belleville. In un mirabile inseguimento marittimo, Madame Souza raggiunge
insieme a Bruno la città oltreoceano e si mette alla ricerca del nipote. Che
nel frattempo viene fatto pedalare da fermo di fronte ad uno schermo che
simula un percorso stradale, per un giro di scommesse clandestine. Madame
Souza si imbatte invece nelle famose “Triplettes de Belleville”, star della
music- hall degli anni ’30, ormai cadute in disgrazia, che le offriranno
aiuto per il ritrovamento di Champion. Questa è la storia. Sarà stata l’ora,
sarà che era un cartone animato, sarà stato il vociare in sala…ma a me il
film non è piaciuto. Bella, anzi bellissima la musica: in stile stomp per
intenderci. Bella la scena dell’inseguimento in pieno oceano tra il
transatlantico dei mafiosi e il pattino della nonna.
Bella anche la
citazione a Fausto Coppi, con Champion da grande che ne è praticamente la
fotocopia. E belle financo le forme dei personaggi, con le loro storpiature.
Ma non mi è piaciuta assolutamente la facile ironia con cui vengono dipinti
i popoli coinvolti nella storia. Francesi mangiarane e americani grassoni,
divoratori di hamburger e sempre seduti su una quattroruote. Basta! E vabbè
che era un cartone animato, ma almeno evitiamo ‘sti cliché! E poi: dialoghi
ridotti all’osso, atmosfere cupe e pochi i momenti di allegria. Se era
fatto e pensato per bambini, i tre pargoli presenti in sala hanno dato già
un responso: “quando finisce?!”, dopo 10 minuti 10 di proiezione. Se il
target invece, era adulto ci sentiamo di dire che il regista poteva osare di
più. Perché tante banalità e luoghi comuni? Ci si poteva permettere un
qualcosa di più, penso io. Che d’altra parte però non sono Tullio Kezich e
chissà se ho il diritto di stroncare. E poi, casomai, il mio giudizio non
fosse piaciuto, potei sempre farmi una vacanzina oltreconfine, no?
Simone
Pollano |