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GAZNEVADA: Sick soundtrack (Astroman/Venus)

 

GAZNEVADA: Sick soundtrack È l’autunno del 1980, ho quasi quindici anni, John Lennon è ancora vivo e a casa di Angelo, un tipo turpe che conosco dalle elementari appena tornato da un giro Londra/Amsterdam/Bologna mi rigiro tra le mani un vinile racchiuso in una copertina a strisce nere e arancio. Il titolo è Sick soundtrack, primo album dei Gaznevada, gli ‘Invincibili Guardiani della Libertà Mondialè. Formazione: Billy Blade (sax, voce, Farfisa); Bat Matic (batteria); Andrew Nevada (voce, inserti elettronici); Chainsaw Sally (basso); E. Robert Squibb (chitarra).

  «Mettilo un po’, fammi sentire che roba è.»

  «Alieni, Giovà. Hai presente quello che stanno facendo adesso quegli stronzi di New York? Preciso e IDENTICO!»

   Gaznevada sing Ramones – Nessuno ci vuole bene – Rock’n’roll in the space-age...

   Il reggae da bottega di tatuaggi di Japanese girl. Il jazz alogeno su pareti vuote di Nightmare telegraph. Musica nevrotica. Musica-brusio metropolitano: la ascolti e ti sembra al tempo stesso di afferrare e lasciarti sfuggire il tutto, qualunque cosa sia. Surplus di tensione velocipedica: Raymond Chandler, la fantascienza a basso costo di Ed Wood, i Pere Ubu e i Devo nella testa di quel William Gibson che quattro anni più in là avrebbe dato alla luce Neuromante con "cento milioni di megabyte al secondo" e "banchi di bianca schiuma di plastica alla deriva."

   In una delle prime storie di Ranxerox, dentro un locale affollato di facce strafatte c’è uno che aggancia una tipa dicendole: «Suono nei Gaznevada.»

   Piacevano a Stefano Tamburini. Piacevano ad Andrea Pazienza. Erano parte di quella faccenda che al decennio dei paninari e della Milano da bere con un garofano rosso appuntato sulla giacca, ebbe l’ardire di contrapporre invenzioni grafiche, sonore, narrative (Pier Vittorio Tondelli) e soprattutto tanta salutare ironia pompata attraverso fanzines, etichette indipendenti, luoghi da raggiungere (Bologna, Pordenone, lo Slego di Rimini, la Lecce del gruppo Atlantide, della rivista For You, di Edoardo De Candia e dello scrittore Antonio Verri).

  “Si sono congelati i grattacieli di New York / Si stanno suicidando gli operai della Ford”

   Nell’estate del 2004 sono un po’ più grande, Angelo fa le pulizie in un obitorio, Lennon suona la chitarra per Manitù da un pezzo e da allora, tra vinile, cassette, cd originali e masterizzati, ho stipato due case di dischi. La vecchia Philips C90 con Gaz, Stupid Set, Confusional Quartet e Tampax è talmente smagnetizzata che potrei tranquillamente spacciarla a qualche pollo per un prezioso inedito dei Residents. Bello, il vecchio catalogo dell’Italian Records. Bellina anche la guida pratica Italia ’80 di Arturo Compagnoni inclusa nel numero di luglio/agosto della rivista Rumore. La sfoglio mentre gira nel lettore l’edizione deluxe di Sick soundtrack che include, oltre ai nove brani dell’album originale, anche il primo singolo Nevadagaz/Blue TV set, il rockabilly per autostoppisti galattici I See my baby standing on a plane, attribuito a Billy Blade & The Razors (in origine su un 7” allegato alle prime mille copie del disco), poi l’intero Dressed to kill, mini-Lp del 1981 con titolo in omaggio ad uno dei massimi capolavori di Brian De Palma, infine una versione live di Mamma dammi la benza recuperata dagli archivi di Oderso Rubini, all’epoca propulsore dell’Italian Records e primo produttore del gruppo.

   Revival? Nell’ultimo biennio si è fatto un gran parlare, anche su queste pagine, di un ritorno di suoni che sembravano dimenticati e che invece diverse formazioni statunitensi (dai Liars, ai The Rapture, fino agli stupefacenti !!!) stanno rimodellando con esiti più o meno interessanti. I Gaznevada appartengono alla cerchia ristretta dei gruppi che in quel periodo, come scrive Compagnoni, “hanno dimostrato di poter cercare strade personali”. Alieni sul suolo italiano (sei anni più tardi sarebbero atterrati i CCCP e i Pankow), fautori di un ibrido situazionista tra rigurgiti punk, funk acido ed elettronica prima della svolta dance segnata dal singolo I.C. Love affair e dall’album Psicopatico party (1983), capolinea dell’avventura.

   Penso alla cover di When the music is over come ad uno dei migliori atti di ossequio resi ai Doors, in virtù di un’opera di demolizione di qualsiasi posa morrisoniana del cantante. Guardo a Sick soundtrack come a un manufatto di questo millennio consegnatoci con ventiquattro anni d’anticipo: è ancora fresco, potente e immediato e non reca alcuna data di scadenza su quella curiosa copertina a strisce nere e arancio.

(J.R.D.)

Sul web:  www.astroman.it