- back - |
PER ALBERTO SORDI |
Alberto sordi non è morto. Non può morire un simbolo. Cercando di evitare toni fin troppo commemorativi e pretenziosi tenterò di scriverne con semplicità, riferendomi al suo essere uomo pubblico e consapevole che non posso coglierne la sua intimità più profonda, non m’interessa, ed è un privilegio concesso a pochi amici, e di certo, perfino lui, qualche scheletro se lo porterà dietro, chissà dove non si sa. Alberto Sordi ha vissuto l’ultimo periodo della sua vita portandosi dietro l’appellativo di: “l’Albertone nazionale”, ma cosa vuol significare questo? Come può un trasteverino come lui, smaccatamente romano e per di più romanista, ergersi a vanto e simbolo di un’intera nazione? Umilmente, credo che non gli si possa rendere migliore omaggio che cercare di rispondere alla suddetta domanda. Si potrebbe iniziare con l’elencare tutti i personaggi da lui interpretati in più di mezzo secolo di carriera: il vigile, il medico della mutua, il tassista, il piacione…….tutti personaggi semplici, riconoscibili, catalogabili; in fondo, è come se ognuno di loro fosse il nostro vicino di casa, simpatico, antipatico, famigliare. Ma questo infinito elenco (più di 190 film interpretati) non basterebbe a spiegare, a farci capire per quale motivo la sua figura abbia rappresentato quattro generazioni differenti: il nonno, il padre, il figlio ed il bambino. Si potrebbe considerare il rappresentante indiscusso della commedia italiana, non intesa come genere cinematografico, ma come una delle chiavi di lettura di una nazione e della sua storia. Si potrebbe continuare scorgendo in lui quella poesia della quotidianità da cui lo stesso Fellini è partito (I Vitelloni e Lo Sceicco bianco), o molto più semplicemente rifarsi alla sua simpatia, a quel suo particolare vezzo di saper sdrammatizzare con una battuta, ed esprimersi con una smorfia. Forse la somma di tutti questi motivi potrebbe giustificare l’amorevolezza con cui il nostro pensiero si rivolge ad Alberto Sordi, ma non basta ancora, c’è una verità più significante, più semplice come tutte le grandi verità. Se ripensassimo attentamente alle sue interpretazioni, non potremmo fare a meno di accorgerci che Il suo rappresentarci non deriva dalla somma variegata dei suoi personaggi, ma dalla sua capacità artistica di saperli tratteggiare uno ad uno, Alberto Sordi ha colto l’italiano nella sua essenza, non è stato il vigile, il tassista, il medico ecc. ecc……ma il vigliacco, il furbo, l’arruffone, l’idealista, il menefreghista… ed ancora…l’altruista, l’ironico, l’idiota, ...in una sola parola: l’italiano. È stato umano, troppo umano… …e verrà ricordato come l’icona dell’italiano medio perché ha percorso la sua vita in celluloide umanamente, all’interno di quel confine che fa di un personaggio la proiezione artistica di un uomo reale, quel confine dentro il quale un debole si fa forte e viceversa, o un vigliacco, per caso, trova il coraggio di agire. Non c’è niente di più vicino al nostro essere di colui che incarna i nostri difetti più intimi, è questa la semplice verità, è per questo che nei suoi personaggi troviamo un motivo d’identificazione, ed è per il modo in cui lui li ha rappresentati che arriviamo ad accettare il rimprovero, la complicità e l’ingenuità, rispettivamente: di un padre, un amico ed un figlio a seconda della situazione rappresentata. Ci si specchia molto più volentieri nei propri pregi ma è nel riflesso delle proprie debolezze che riconosciamo inequivocabilmente noi stessi. Questo ha fatto Alberto Sordi nella sua vita, spacciandosi per il fruttivendolo della porta accanto si è reso protagonista di un’indagine psicologica del nostro costume tra le più acute che siano mai state concepite. Umano, troppo umano… …anche nella sua morte, perché non ha eredi, non ha eguali, proprio come quando viene a mancare una persona a noi cara, ed il peso della sua perdita è reale, inaccettabile nella misura in cui la sua figura è insostituibile. Umano, troppo umano… …nel perseguire ostinatamente il suo essere attore/autore, realizzando, nell’ultimo decennio, film che nulla aggiungono alla sua memorabile carriera, umano, quindi, persino nella sua decadenza artistica. Umano, talmente umano da meritarsi il ricordo eterno, perché è l’uomo qualunque, l’uomo di tutti. Alberto Sordi è Mario Rossi, e Mario Rossi è immortale. Davide Catallo |
|