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SELON LES COEURS, SELON LES CORPS Un delirio di Gianni D’Attis |
Nzurt fece schioccare la lingua. L’elicottero gli aveva messo un certo appetito, così prese a scrutare il cielo per cercarvi qualche altro buon segno del dio Monovolume, padre putativo del grind-core per divi della Bollywood in salsa radical, nonché primo mangiafregne del creato. Quel cielo però gli parve decisamente vuoto. Dopo l’elicottero, il deserto. L’azzurro sfumato di quella calda mattina di maggio con spettacolo acrobatico di avvoltoi, gli riportò alla mente una bagascia di nove quintali rimorchiata al Salt Coyote Saloon di Noicattaro qualche tempo prima. Si chiamava Dorothy, ma tutti la conoscevano come la tipa del Califfone. "Chiamami Dorothy" diceva al cliente. "Oppure Suor Sostanza, o Mammina, o come cazzo ti pare. Purché paghi." Quaranta secondi di coito con Dorothy costavano due milioni di eurodollari: la paga annuale di uno scardassatore peruviano al servizio dell’alta moda made in Italy. I soldi tuttavia non erano mai stati un problema per un mostro socialmente utile di serie A come Nzurt, superkiller con superpoteri e regolare partita IVA temuto e rispettato in qualsiasi buco di culo del sistema solare. A muoverlo era l’odio degli altri e la prospettiva di trascorrere la vecchiaia in un hotel-casino di atmosfera parigina dotato di slot machines, tavoli verdi, shopping center, quattro ristoranti, circo sull’acqua e centinaia di lap-dancers. Femmine, non androidi come Dorothy. Una volta era rimasto in panne con un articolo ristrutturato a forza di nastro adesivo e attaccatutto. Al Fashion Desert Inn, per i pochi che ancora lo ricordano. L’ articolo sapeva ballare il mambo e aveva lavorato come controfigura in un paio di produzioni hard con alligatori ed ex marines perdendo per strada il piede sinistro, i capezzoli e una chiappa. Ma l’agenzia continuava a cantarne le lodi nel pieghevole distribuito gratuitamente sui lerci marciapiedi di Tunafisha da ragazzi in camicia rosa con il collo rovesciabile: TINA CAMBOGIA ALTEZZA, VOCE, PESO NATURALI PRESTAZIONI PARANORMALI Beh, non ne era avanzato molto. Finito di mangiare, Nzurt aveva buttato giù a rutti l’albergo rifiutando l’offerta del direttore di provare gratis e senza impegno alcuno la Ida, la Nina, la Smirnoff e la famosa Lulù On The Bridge. Fame. Nello stomaco legioni di diavoli in acido battevano i pugni contro le pareti al ritmo dell’ultimo singolo dei Nine Inch Nails. Dark industriale mixato a colate di succhi gastrici che avrebbero potuto corrodere senza problemi l’Enterprise. Strato per strato, cancellando in una manciata di drammatici istanti la memoria storica di generazioni di fans della premiata dittarella Kirk, Spock & McCoy. Niente astronavi però. Non era zona di transito, quella. Solo un posto del cazzo che circa due secoli prima era stato segnalato sulle mappe del turismo sballone per via di alcuni giacimenti di polvere horkheimeriana, meglio conosciuta col grazioso nomignolo di Eclisse della Ragione. GIOVANE HIPPIE: "Ad Ovest. Vado ad Ovest per la polvere, babbo!" VECCHIO HIPPIE: "Le mie gambe sono troppo stanche per seguirti ma ti auguro buona fortuna, figliolo. Peace and Love. Ricordati di Alamo." MAMMA HIPPIE: "Ricordati di indossare la maglia di canapa!" Non era durata a lungo. Dopo i primi pionieri si erano fatti avanti gli Ennuyees: rockstars, gente del cinema, stilisti, top models e compagnia bella. Tutti a sbracciarsi, a sgomitare per la polvere, fonte di sensazioni mai provate in precedenza da un essere umano. "Un viaggio indescrivibile, a metà strada tra una visione di paradiso dantesco e una riunione condominiale presieduta da Franco Basaglia", secondo le parole dell’antropologo Callisto O. Hardy, autore del trattato in sei cd rom: Chi è fuori ragiona a modo suo (Meteorman Edizioni). Fame. Poche chiacchere: Nzurt aveva fame. Zuppa di porcini, lumache plutoniane, fagottini sambussa ripieni di speck, auricchio e provola, spaghetti al pecorino, coscia di vitello in salsa béarnese, involto di maiale in verza, trippa di referendario della corte dei conti, tagliolini all’astice, passata di fagioli, bollito in crocchetta, coda di esperto acquisitore immobiliare, bajata, gricia, pappa col pomodoro, una pizza completa grande come l’Australia, petto di Pamela Anderson alla fornara e, prima del dolce, un polipo capace di contenere tutto l’inchiostro della biblioteca d’Alessandria. Cielo da favola e zero polpette all’orizzonte. A volte il Divino giocava brutti scherzi, soprattutto nel mezzo di una meritata vacanza via dalla pazza folla scientosalutista di Seminuova Zelanda City. L’eroe si scaccolò le nari riflettendo sulla cattiva sorte dei cavalieri pallidi. In qualità di ultimo esemplare vivente di una razza condannata a repentini discorsi d’addio, provò un moto di vera commozione e ne mollò una bella grossa. L’eco della granata giunse fino alle orecchie di un pastore della valle del Surkhab stimato presso il mondo accademico per i suoi studi sul bad-i sad-u-bist ruz, il vento dei centoventi giorni. Il pastore sorrise e sgozzò la pecora più colta del gregge sussurrandole i versi finali di Célibat, célibat, tout n’est que célibat di Jules Laforgue. Finito il lavoro, si concesse una Camel e annusò l’aria per cercarvi qualche segno dei tempi nuovi. L’aria odorava di zolfo, polvere di ferro e merda pressata che i giovani licaoni di Lama Palomba spacciano talvolta per nepalese ai turisti fai da te. Questo, pensò il pastore, è il limite delle aree con caratteri desertici. |