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CONTROL

Control di Anton Corbijn
Titolo originale: id.
Regia: Anton Corbijn
Interpreti: Sam Riley, Samantha Morton, Craig Parkinson, Joe Anderson, Nigel Harris, Nicola Harrison, Corrine Lewis, Toby Kebbell, Alexandra Maria Lara, Matthew McNulty, Ben Naylor, Martin Hannett, James Anthony Pearson, Tim Plester, Robert Shelly, Harry Treadaway
Soggetto e sceneggiatura: Matt Greenhalgh, Deborah Curtis, dal libro di Deborah Curtis Touching from a Distance
Fotografia:  Martin Ruhe
Scenografia: Chris Roope
Costumi: Julian Day
Musica: Joy Division, New Order
Montaggio:  Andrew Hulme
Produzione: Tony Wilson, Deborah Curtis, Todd Eckert, Orian Williams, Ian Canning, Peter Heslop
Paese: UK   Anno: 2007
Durata:  119"
Distribuzione:  non distribuito nel circuito italiano
Sito ufficiale: www.controlthemovie.com

Vita breve e tragica di un poeta inglese del nostro tempo: Ian Kelvin Curtis, ragazzo di Macclesfield, quartiere proletario di Manchester. Vita e amori, aspirazioni, sofferenze fisiche e dell’anima trasfuse in un corpus di liriche strazianti, in un corto circuito diventato parte integrante del post punk, la musica venuta dopo l’uragano Sex Pistols.

“I've been waiting for a guide to come and take me by the hand / Could these sensations make me feel the pleasures of a normal man?”  Questo è l’incipit di Disorder, brano che apre Unknown Pleasures (1979). E in I Remember nothing, l’ultimo dello stesso disco, le parole diventano se possibile ancora più dolorose: “Violent, more violent, his hand cracks the chair / Moves on reaction, then slumps in despair / Trapped in a cage and surrendered to soon / Me in my own world, the one that you knew / For way too long.”

   17 maggio 1980: alla vigilia del primo tour americano dei Joy Division, la sua band, Ian chiude drammaticamente la sua parabola terrena lasciandosi alle spalle un matrimonio precoce, una figlia, due album (il secondo, dopo Unknown pleasures, è Closer, ed uscirà postumo recando in copertina uno scatto che immortala le statue del cimitero monumentale di Staglieno, Genova), una relazione con la giornalista belga Annik Honore e soprattutto il peso dell’epilessia. Era fragile, Ian Curtis, benché circondato dall’amore, protetto dai suoi amici Bernard, Peter, Stephen, da Rob Gretton, manager della band e dal recentemente scomparso Tony Wilson, conduttore di programmi televisivi per Granada TV, talent scout e fondatore della leggendaria Factory Records. Ultime suggestioni prima di stringere il cappio nella cucina dell’appartamento di Barton Street: La ballata di Stroszek, angoscioso film di Werner Herzog su un uomo psicologicamente distrutto visto in televisione e The Idiot di Iggy Pop sul giradischi.

   Realizzato con un budget limitato a circa 5 milioni di euro, sceneggiatura tratta dal libro Touching from a distance di Deborah Curtis (pubblicato in Italia da Giunti con il titolo Così vicino, così lontano), Control è il primo lungometraggio diretto da Anton Corbijn, nato nel 1955 a Strijen, in Olanda, noto come fotografo, scenografo e regista di video per U2, Depeche Mode, Nick Cave, Nirvana (un MTV Anton Corbijnaward per il video di Heart Shaped Box),  Front 242, Henry Rollins, Metallica e molti altri nomi del panorama rock. Miglior Film europeo della Quinzaine des Rèalizateurs. Dell’attore Sam Riley (ha interpretato il frontman dei Fall Mark E. Smith in 24 Hour Party People diretto nel 2002 da Michael Winterbottom; come musicista è leader dei 10.000 Things), il quotidiano dublinese Irish Times ha scritto: “Interpreta Curtis in maniera così persuasiva che pare sia nato per essere lui”. Samantha Morton (prossimamente in Synecdoche, New York di Charlie Kaufman), nei panni della moglie Deborah, non è meno credibile.

   Al momento, benché sia uscita in mezzo mondo, la pellicola è inspiegabilmente in attesa di una distribuzione italiana. È un peccato, poiché si tratta di un biopic atipico, talmente rigoroso da non scadere mai, neppure per un momento nel glamour, nell’agiografia fine a se stessa. C’è molta musica (interessante la cover di Shadowplay eseguita in coda da The Killers, come pure i nuovi strumentali composti per l’occasione dai New Order). Le immagini in livido bianco e nero (scelta che per Corbijn è coerente con la sua celebre frase “ricordo di più le cose in questo modo che a colori”) hanno anzitutto il potere di restituire un’epoca ed un pugno di personaggi legati a un’idea della musica radicalmente diversa da quella attuale. Metà dei ’70, periferia inglese degradata, Bowie e i Roxy Music suonati a volume alto sull’impianto stereo economico di casa, i primi esperimenti con le droghe, le prime liriche buttate sulla carta: punti a salire su un palco, a portare ciò che scrivi in faccia alla gente, nelle orecchie della gente. MTV verrà dopo, le canzoncine annacquate per gli spot televisivi e le suonerie dei ragazzini deficienti verranno dopo e distruggeranno per sempre l’idea di un 33 giri concepito come un lavoro artistico da ascoltare dalla prima all’ultima traccia.

   Poi c’è il tormento, la cupezza di Ian Curtis, il suo sguardo sconsolato puntato sul mondo, sulle insicurezze umane (di chi è ancora umano, di chi non si è lasciato fottere dalla superficie delle cose). Campi e controcampi, volti catturati nella quotidianità: Curtis nell’ufficio di collocamento, davanti alla ragazza epilettica in cerca di lavoro; ancora, il cantante che torna a casa dopo un concerto e si ritrova proiettato in una dimensione diversa da quella dei riflettori e dal pubblico adorante. Corbijn affronta tutto questo con eleganza formale e serietà d’intenti, offrendo allo spettatore una chiave di lettura dall’interno: il mistero Ian Curtis non aveva niente a che vedere con il cliché della rockstar ricca, drogata e circondata da modelle. Niente in comune con qualsiasi buffone da tabloid che possa venirvi in mente in questi giorni. Era un poeta, e un ragazzo insicuro, aggredito dalle responsabilità della vita, da ciò che ogni giorno, ciascuno di noi potrebbe irrimediabilmente lasciarsi sfuggire di mano. La sua musica, le sue parole, dureranno per sempre. Questo magnifico film che gli rende onore mescolando malinconia e tensione, impressioni da free cinema inglese di  Lindsay Anderson e da Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, durerà per sempre.

 

(N.G.D’A.)