VALERIO EVANGELISTI: Black Flag (Einaudi, pp. 220, € 8,20) |
Nelle prime undici pagine di questo libro il rischio di andare incontro ad un sonno agitato è molto alto. Tensione palpabile, fuoco e macerie da tutte le parti, riferimenti alla tragedia delle Twin Towers, atmosfere in puro stile Resident Evil (il game, non i romanzetti di Stephani D. Perry ad esso ispirati). Siamo a Panama City: Sheryl Woods e Carl Wippler, medici americani sopravvissuti al feroce bombardamento che sta sterminando una popolazione inerme, finiscono nei sotterranei della clinica psichiatrica Saint Michel in compagnia di nove degenti molto particolari. Che ne sarà di loro? Perché dovrei rivelarvelo proprio io, rischiando che Evangelisti, noto negromante, mi scateni contro l’ira degli Mbua? A pagina dodici ci ritroviamo in un angolo di Paradice precedentemente conosciuto come New York. Siamo in compagnia di Lilith (ma non è un po’ inflazionato come nome?) nell’ultima notte dell’anno 2999 e, giusto per smorzare l’entusiasmo dei soliti festaioli, dico soltanto che lenticchie, spumantino, biancheria intima rossa, botti confezionati a Torre Annunziata non sono che un lontano ricordo. Lilith è a caccia: tuta mimetica, rilevatore Krilian, in tasca un sofisticato set di armi da taglio. Nel giro di poche righe ci rendiamo conto che la sua salute mentale e quella dei suoi simili è praticamente alla frutta. Non male anche qui: taglio da graphic novel della Harris Comics (Vampirella, dove sei?), un pizzico di Carpenter senza strafare. Pantera arriva a pagina quindici, introdotto da I’m the one dei Black Flag, brano da sturbo contenuto in un album intitolato Jealous again (altro che le pugnette dei Green Day!). Ė il 1864, infuria la Guerra civile americana e, benché ecstasy e svastiche non siano ancora di moda, i ventenni hanno tanta merda in testa da non rappresentare la più rosea speranza per un futuro senza stupri, incendi dolosi, odio razziale e carneficine. Pantera è uno stregone. Conosce i dèmoni, può evocarli, scatenare l’inferno sulla terra. Pantera è un introverso figlio di puttana con un po’ di cuore nella cassa toracica. Un Clint Eastwood diretto da Wes Craven, probabilmente. A Laredo, sfugge a una pioggia di proiettili e si unisce a una banda di tipi allegri diventando il punto di riferimento di una prostituta onestamente brutta (è il West, ragazzi, mica Hollywood) e di un giovane lupo mannaro che deve aver letto l’intera collezione di Wolverine deprimendosi molto. Fermiamoci qui, non posso mica snocciolarvi tutto il romanzo (gli Mbua!). Valerio Evangelisti, già autore del fortunato ciclo dedicato all’inquisitore Nicolas Eymerich, si concede un’altra vacanza dal suo fosco personaggio tornando alle atmosfere non meno apocalittiche dei racconti di Metallo Urlante (Einaudi, 1998). Il suo è un western sporco, contaminato da scorie di altri generi letterari e non. Punk, fantascienza, horror, discreti omaggi a Cormac McCarthy e al suo immenso Meridiano di sangue (se non l’avete ancora letto, meritate la giusta punizione degli Mbua o un buco in fronte firmato Jesse James). Appena scartato dal cellophane, Black flag scorre che è una bellezza tra sparatorie, ululati di licantropi e suoni dell’omonima band col muscoloso Henry Rollins alla voce. Domina il ‘NO FUTURè urlato nei giorni in cui il punk non era ancora diventato la griffe very global che conosciamo oggi e le bands si chiamavano Sex Pistols, Exploited, Dead Kennedys, Circle Jerks. Ora, l’invito è questo: leggete questo libro ascoltando a palla una compilation del periodo 1977-1981, poi raccontatemi l’effetto provato. (N.G.D’A.) |