MARCO PHILOPAT: La Banda Bellini (Shake Edizioni, pp.192, € 12,00) |
Per un anno, Marco Philopat ha registrato le sue conversazioni con Andrea Bellini, protagonista e testimone di una Milano che, fotografata a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, visse la profonda insoddisfazione di chi era nato dopo il secondo conflitto mondiale e fu teatro di aspri scontri oggi rievocati con uno stile secco e serrato dall’autore di Costretti a sanguinare. Romanzo sul punk 1977-84 (Shake, 1997). Dal quartiere operaio Casoretto all’Istituto Einstein, poi nelle strade, ai cortei, tra i lacrimogeni e le manganellate della polizia, in lotta contro i fascisti come in un grande western urbano (un Gangs of Milano senza le facciotte che al cinema fanno sospirare le ragazzine), abitando una porzione temporale che precede il grande buio della lotta armata, dell’eroina che resetta le menti di tanti compagni e del processo di annientamento dei movimenti nelle fabbriche, nei quartieri, nelle università, attuato da un Pci in odore di compromesso storico."Sono le 15.30 il vice questore indossa il casco infilandosi la banda tricolore – poi fa cenno al trombettista – che di fatto ordina la carica – peeerepppeeeerrre – pereppp...Stunk – stunk – al terzo squillo un sampietrino dell’Elvezio – pone fine al triste suono..." 1968-1977: dieci anni di impermeabili militari verdi, Ray-ban a goccia sugli occhi (erano ‘lo scalpo’ strappato ai nemici, il trofeo di battaglia), di identità comune fortificata dall’amicizia. "Una volta mi sono preso da un tipo losco e aristocratico un paio di costosissimi Ray-ban tecnici con le lenti azzurre – e siccome dobbiamo travestirci – ho pensato che potevo portarli io – per il disorientamento con la doppia giravolta...". Andrea Bellini era un capo, un picchiatore che in queste pagine diventa una voce ‘altra’ rispetto a quelle degli intellettuali che fin qui hanno scritto saggi sui movimenti di lotta emersi dal dopoguerra italiano. Lucidamente contro la scelta di impugnare le armi e partecipare al delirio dissolutivo degli anni di piombo causato dalla perversa illusione di ottenere giustizia attraverso la violenza, il protagonista di questa storia vera fa vivere fino in fondo al lettore il passaggio dall’eroico fervore resistenziale dell’adolescenza al disorientamento provocato dai lutti, dal progressivo, irreversibile frammentarsi del tessuto unitario a metà dei Settanta.Milano, gli amici, i nemici e le donne. E le occupazioni, le rivendicazioni degli studenti che volevano distruggere l’esistente senza riuscire a mettere bene a fuoco il futuro; la Statale (abitata da spettri infarciti di ideologia stalinista), l’Unione Inquilini, Lotta Continua, i racconti dei vecchi partigiani, Mao Tse-tung e il popolo Viet-Cong, la libertà sessuale come un rito d’iniziazione. Se La Banda Bellini fosse un film, sarebbe un Super 8 dalla pellicola graffiata ma girato benissimo. Se fosse una canzone, sarebbe senz’altro Gates of the West oppure The Magnificent seven dei Clash. Philopat, quarantenne scrittore passato dalle fanzines fotocopiate al web, ha costruito un libro avvincente puntando sull’amarezza degli sconfitti, scegliendo un sopravvissuto che conserva il ricordo di un’ingenua determinazione. Eroe di un quartiere rosso, personaggio che parla di errori e ribellioni al nostro tempo, a chi oggi scende in piazza per manifestare pacificamente il proprio dissenso, rischiando di essere comunque criminalizzato. (S.B.) sul web: www.shake.it |
|