L'11
Settembre 2001, narra l'introduzione, il libro di Michael Moore
Stupid
white men avrebbe dovuto essere pubblicato negli Stati Uniti;
naturalmente l'argomento e i toni lo resero un prodotto poco desiderabile
nell'ondata di patriottismo successiva agli attentati, e per un paio di mesi
gli fu imposta la censura (o meglio, il cordiale ordine di rivedere qualche
passo); finché, a quanto pare, l'impegno telematico di un gruppo di
ammiratori pro free talking non ha forzato con centinaia di e-mail la casa
editrice americana HarperCollins a restituire al popolo la verità, a Moore
le sue 50.000 copie vendute in un giorno e il suo primo posto in classifica.
Niente male per lo sfogo arrabbiato di un regista di documentari, che quest'
anno vince anche un Oscar alla cerimonia più nera della storia e non si
spaventa a prendersela davanti a tutti contro il fellow President dei
cittadini americani.
Non di tutti i cittadini. Forse ce lo aspettavamo già, ma per esempio non mi
era mai giunta la voce che l'uomo che dichiarò per primo in tv la vittoria
di Bush junior senza aspettare i risultati ufficiali, lo speakerman di Fox
News Channel, guarda in po' si chiamasse Bush anche lui, e fosse suo cugino.
Una combinazione? Scorrendo le pagine, e arrivati alla presentazione
dell'eccellente staff della Casa Bianca, scopriamo altre cose interessanti:
per esempio che l'attuale vicepresidente Dick Cheney negli anni '80
intratteneva rapporti economici con Saddam Hussein, o che il Segretario
della Difesa Donald Rumsfield era già grande amico di Nixon, e suo
consigliere. Buon curriculum.
Non crediate vi stia svelando tutte le sorprese del bel lavoro di Moore.
Le 260 pagine di politica da mettersi le mani nei capelli straripano di
aneddoti, dati inediti o volutamente messi in ombra, curiosità, c'è solo l'
imbarazzo della scelta. Corruzione, conflitti di interessi, malasanità e
calci nel sedere sono concetti ben radicati nella coscienza civica del
popolo italiano, l'appartenenza al quale ci dà oggi buoni motivi di
vergognarci all'estero. Ma per fortuna ci sono momenti in cui possiamo
andare fieri di limitarci a fare i pagliaccetti d'Europa nello scacchiere
internazionale, senza che nessuno ci ascolti nelle nostre follie neroniane o
voltafaccia da Ponzio Pilato e senza avere il potere di decidere da che
parte far girare il mondo, potere invece saldamente impugnato dal piccolo W,
come lo chiama affettuosamente Moore (altre volte, intraducibile in
italiano, "son of a Bush".), il quale tanto per dirne una, pare fosse
cocainomane negli anni '70, prima di andare a decidere chi giustiziare in
Texas.
Proseguiamo il viaggio nella grande America con arsenico nell'acqua dei
rubinetti, ragazzini neri messi in galera perché nati lo stesso giorno di
ricercati (proprio così, diverso nome, diverse impronte digitali: ma stesso
compleanno. Anche a me piace l'astrologia), tasso culturale medio dei
laureandi ad Harvard che non sanno quando c'era nel loro paese la Guerra
civile. E qui mi fermo un po' sgomenta e pessimista riguardo al progresso
della razza umana, e vi consiglio di comprare e leggere. Intendiamoci, il
libro di Moore non è né un “great book", come si staglia sulla copertina,
tantomeno "savegely hilarious" come lo definisce l' Irish time. Non è il
talento di Moore, piuttosto i fatti che racconta, che meritano di essere
almeno per una volta scorti di sfuggita, con la mano contro gli occhi e
pensando "anche questo, non lo voglio credere".
Letterariamente parlando, l'opera di questo simpatico grassone è povera,
troppo autocelebrativa in certi punti ("i bianchi sono cattivi, ma io no: io
assumo solo neri", o cose simili), troppo offensivamente carente in altri
(perché mai la soluzione al problema mediorentale viene discussa semi
seriamente e con rispetto, e solo una pagina dopo ai protestanti dell'Ulster
viene consigliato di diventare cattolici, per risolvere i conflitti e perché
si scopa di piu'?), superficiale nel trattare costruttivamente il tema
minoranze (donne e neri). E quasi viene da chiedersi come quest' esemplare
qualunque di uomo bianco sia riuscito a scalare la vetta dei best seller,
anche con le sue battute che ogni tanto non fanno proprio ridere, armato
solo di buona volontà ed evidente pazienza nella ricerca del materiale.
Consegnandoci tuttavia un libro interessante, e che siamo contenti di vedere
pubblicato. Ragazzi, anche questa è l'America.
Valentina Soluri |