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Voodoophone       di L. Wapp

 

Decise di chiamarla: +++918414.

Non raggiungibile.

“Cellulari del cazzo. Riproverò più tardi”.

Passò un giorno. Due. Una settimana. L’estate. L’anno. L’università. Poi chiamò lei.

“Ti ricordi di me?”

“Ma vaà!?”

“Mi sono trasferita”

“E dove?”

“Nella tua città”

“Uhm” (formicolio).

Soliti aggiornamenti: “Si?!” “Dai!!” “Noo…!” “Complimenti…!” Una sola notizia chiave: libera.

“Ci vediamo?”.

“Certo che ci vediamo!”.

Finì così: “Ti chiamo io! Di sera lavori? Merda! Mattina? Pranzo? Pranzo da me!? Bella lì! Ti faccio sapere”.

Passò qualche giorno. Decise di riflettere sul da farsi. Quant’era passato da quella volta? Un anno. No, un anno e mezzo: era quasi Natale. Al pensiero gli vennero in mente i raid adolescenziali a base di Zeus e Magnum e le partite al Commodore 64. Poi le lucine colorate, gli alberi sintetici dietro le finestre e i film porno di John Holmes.

Le vacanze aumentano il desiderio di sesso: il corpo e la mente si rilassano. Troppo.

Pensò ad una frase del drugo Alex: “riflettere è per i deboli”.

Bisogna seguire l’istinto, e sperare di avere un buon istinto.

“Vado”: +++9184141: numero inesistente. “Merda!!! E ora? Mi chiamerà lei. Uhm (formicolio). Spero faccia presto”.

Passò il Natale: solite bevute. Il capodanno: menù turistico da 30000 e 40000 canne per sperare di raggiungere l’alba. Gennaio. La primavera: 20 aprile. Giornata di sole in balcone: Martini/Campari/ghiaccio/limone. Gli occhi sull’ultimo numero di Nathan Never: Segnali dallo spazio. All’arrivo di Legs Weaver sulla stazione orbitante Giove 71 i pensieri si estraniarono dalla questione. Pensò alla donna poliziotto dell’agenzia Alfa per dieci minuti molto intensi. Quindi gli tornarono in mente le primavere dell’infanzia: il pallone, il Commodore 64, i film porno di John Holmes.

Arrivò un messaggio: “Qui si sta benissimo ma mi manca il mare. Baci. Ada”. Si grattò il mento. Lo rilesse tre volte. Si guardò intorno.

“Uhm”.

Pensare è per gli stupidi (il problema è fidarsi del proprio istinto). Richiamata istantanea: uno squillo, due, tre, sei, nove. Segreteria. Si grattò la fronte. Si guardò intorno. Fissò per dieci minuti il basilico con soddisfazione paterna: verde, profumato, rigoglioso. Apparentemente felice. Di una serenità distaccata.

“Richiamerà” si disse. “Chissà dove cazzo sta?”

Alla fine richiamò. L’anno dopo. Fu mentre alla tv John Holmes penetrava con gusto Linda Lovelace vestita da Miss Piggy dei Muppets: mentre ci dava dentro cercava di infilarle la testa nella tazza del cesso e scaricare. “È un vero professionista” pensò davanti al sedici pollici con le braccia incrociate, “eppure non riesce ad arrivare alla leva dello sciacquone”. La maialina intanto continuava ad agitarsi, cercando di aiutare il leggendario partner nell’impresa: infilò il più possibile la testa nella tazza e alzò per bene il culo per aria. A quanto pare anche la cocca sapeva il fatto suo. Eppure lo sciacquone rimaneva ancora un’impresa proibitiva.

Fu interrotto mentre sul divano comparava l’espressione di Holmes con quella di Schwarznegger nel finale di Atto di Forza.

“Ehi, ti ricordi di me?”

“Ti  stavo pensando”

“Davvero?”

“Sì, preavverto sempre quando qualcosa di importante sta per accadere”

“Non prendermi in giro”. Risatina. “Dove sei?”

“A casa a guardare un porno”. Si congratulò con se stesso della freddezza sarcastica di cui era capace nei momenti migliori.

“Ma non eri un intellettuale?”

“Beh, di un certo tipo”

“Non ti interessa più da dove viene l’uomo, il mondo, la vita…?”

La interruppe con un tempo invidiabile: “Ora cerco di capire perché le videoteche vendono peluche e saltimbocca Findus”. Era sincero.

“È semplice commercio”.

“È appunto quello che mi stavo dicendo”.

Era come pattinare sul ghiaccio: liscio e piacevole. Fino a che la linea non cominciò a perdere colpi, spezzando tragicamente il ritmo olimpionico della conversazione. 

Finì così:

“Ascolta, sono in fila alla biglietteria della stazione. Sarò in paese stasera”

“Uhm”

“Mi vieni a prendere?”

“Perché dovrei?”. Seguiva l’istinto.

“Dai…non ci vediamo da una vita. E poi voglio darti l’invito di persona”.

“Per cosa?”.

“Indovina un po’!”.

Si sposava.

Ripensò ai matrimoni a cui era stato da bambino: il vestitino da ragazzo Cuore, parenti e parenti sconosciuti, l’attesa interminabile prima e dopo la messa sotto un sole della madonna. E poi cedette a tutto un quadro di pura retorica: padri dai vestiti stretti, mamme/nonne/zie e acconciature da brividi. Poi le amiche e gli amici dello sposo in occhiali da sole. Gli sposini imbarazzati. Il prete. Il ristorante con le zanzare morte sulle tovaglie. I camerieri quindicenni che si sbattevano per comprarsi il motorino. Timballo, spaghetti e montagne di arrosto. Venti hip hip. Una torta. Due statuine di zucchero. Un bacio. L’applauso.

“Ok, ti aspetto all’uscita del binario”.

Cercò una frase da aggiungere per dissimulare i suoi pensieri, ma non ci riuscì. Lei riattaccò mentre ancora cercava pateticamente rimasugli brillanti nel fondo del cervello.

Spense il telefono. Alzò il volume della tele.

Per un attimo gli venne da pensare. Ma ancora una volta volle fidarsi del suo istinto.

Così andò e si fece una sega.

Poi tirò lo sciacquone, mentre dalla tv si sentiva che il buon vecchio Holmes non aveva ancora scaricato sulla sua Miss Piggy.