|
|
THE CLASH: London calling – 25th anniversary edition (Columbia) |
|
È la terza volta che parliamo su queste pagine della deluxe edition di un classico della musica. Prima A Love supreme di John Coltrane, poi Dirty dei Sonic Youth e adesso l’immenso (in tutti i sensi) London calling dei Clash, rieditato dalla Columbia a venticinque anni dalla sua prima uscita in versione doppio cd + Dvd. London calling, nel periodo aureo della band di Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon, si colloca dopo l’omonimo esordio del 1977 e l’ancor più affilato Givèem enough rope del 1978, anticipando di un anno il triplo Sandinista. Qualcuno gridò al tradimento per la svolta “raffinata”, per il recupero di generi musicali del passato che il punk aveva messo alla berlina. Jon Savage, autore del saggio Il Sogno inglese lo definisce “Un disco molto più americano – in termini di suono e mitologia – e come tale proclamato nel 1990 miglior disco degli anni ’80 da Rolling Stone (uscita americana, 1980)”. Venticinque anni: incredibile! All’epoca, il vostro umile scriba era un tredicenne tirato fuori per i capelli dalle torbide acque dei Pooh e guidato nel mondo delle meraviglie sonore dal solito compagno di scuola pluribocciato: “’Cazzo sono ‘sti Clash?” Avevo gli Who e gli Stones. Avevo Ziggy Bowie su Marte. Avevo i Beatles in canapa e acido e anche le furibonde Pistole del Sesso che ai Beatles sputavano in faccia e sugli strumenti. Giusto i Clash mi mancavano, nell’anno di Apocalypse Now e della Pioggia radioattiva alla centrale di Three Mile Island in Pennsylvania, delle manette a Negri, Scalzone, Piperno, del “Teorema Calogero” e dei primi Walkman. È per questo che, dal pulpito dei V.C.S.I.E. “Vecchi Coglioni Salvati In Extremis”, rivolgendomi a neofiti ed aficionados, apro le braccia e dico: tirate fuori i portafogli, ragazzi, questa è roba che, come per i due casi di cui sopra, come le morbide curve di Anita Caprioli, vale la pena possedere originale. All’album finora conosciuto si accompagnano infatti altri 21 brani (The Vanilla tapes) relativi alle sessions tenute dal gruppo nell’estate del 1979 in quello che ieri era un modesto studio di registrazione a Causton Street improvvisato all’interno di un’officina per la riparazione di automobili e attualmente è un edificio che ospita la London Diocesan House. Si tratta sostanzialmente di provini che, prima che London calling vedesse la luce con un grande botto, Strummer e compagni pensavano di utilizzare per un lavoro inciso in economia. Per molto tempo, i fans hanno continuato a considerarli irrimediabilmente perduti. Fino al loro fortuito ritrovamento, nel marzo di quest’anno, da parte di un Mick Jones impegnato a spostare scatole di cartone nel corso di un trasloco. “Li ho riconosciuti immediatamente” assicura Jones. “Non erano stati più ascoltati da quando furono effettuate le registrazioni”. Bel colpo, Mick. Ai miei occhi, hai recuperato un po’ dei punti persi sponsorizzando il bluff dei Libertines (a proposito: come ti è venuto in mente di paragonarli al tuo ex gruppo? Quanti litri di bumba ti hanno portato a dichiarare in pubblico: “I Libertines sono i Clash di questa generazione”?) The Vanilla tapes: grandi manovre in vista del capolavoro. Bozzetti per Hateful, Rudie can’t fall, Lover’s rock, Death or glory, Lost in the supermarket, più altro materiale (c’è anche la cover di The Man in me di Bob Dylan) che attesta l’amore incondizionato del quartetto per il rock and roll (Bo Diddley in testa) oltre che per il reggae di Prince Far I e delle produzioni di Joe Gibbs. Canzoni senza fronzoli, dirette, facili da suonare. Canzoni dell’anima e dello stomaco. Un magma interessante. L’humus perfetto per sviluppare le idee che la formazione aveva in testa in quei mesi. Aggiungeteci l’omaggio a Montgomery Clift in The Right profile, la cover di Brand new Cadillac di Vince Taylor e l’esplicito tributo al dio Elvis nella copertina di Ray Lowry e Pennie Smith (autrice della foto) simile a quella scelta per lo storico debut-album di Presley e sarete in possesso delle coordinate scelte dai Clash per il doppio lavoro anticipato il 7 dicembre 1979 dal singolo London calling/Armagideon time. Sezione Dvd: un documentario di Don Letts sul making of del disco, tre videoclip (London calling; Train in vain; Clampdown) e altri extras che fanno il paio con l’elegante booklet di 36 pagine (saggi di Tom Vague e Pat Gilbert, bellissime foto, disegni, etc.) Sezione original Lp: i 19 pezzi da riascoltare pensando a Joe Strummer, lassù, con il pugno alzato e la Telecaster a tracolla. Joe sorride. Joe non ce l’ha fatta a raggiungere i vecchi amici per la reunion prevista, per la gloria della Rock’n’roll Hall of Fame. Peccato. Ha avuto un contrattempo e vaffanculo. Uno scherzo di cattivo gusto. Un’occasione mancata. I’m not down. Joe è nel cuore delle cose che restano. “London calling to the imitation zone Forget it, brother, an' go it alone London calling upon the zombies of death Quit holding out-and draw another breath London calling-and I don't wanna shout But when we were talking-I saw you nodding out London calling, see we ain't got no highs Except for that one with the yellowy eyes.” Venticinque anni: ci sono davvero cose che non invecchiano. J.R.D.
Sul web: www.radioclash.it |
|
|