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 ( Leggi la recensione di Neoproletariato )


INTERVISTA  A TOMMASO LABRANCA   di Nino G. D’Attis

 

Dovrei scrivere qualcosa su Tommaso Labranca, nato a Milano, autore di Andy Warhol era un coatto; Estasi del Pecoreccio, La vita secondo Orietta, Chaltron Hescon e dell'ultimo Neoproletariato, appena mandato in libreria da Cooper & Castelvecchi. Una breve introduzione, niente di più. Facile? Il problema è che Labranca non si può proprio riassumere, sintetizzare, ridurre a bignamino, a mignon di liquore, a The Portable Labranca, come direbbero gli inglish. Labranca è un fiume in piena e onestamente non ho mai sentito di qualcuno che abbia fatto la prefazione a un fiume. O almeno di un tizio che ci abbia provato uscendone poi perfettamente asciutto.  Posso dire soltanto che questa intervista era cominciata con degli appunti presi su un microregistratore e che è stata ultimata per posta elettronica. Ultimo messaggio di L. : "Ecco le risposte. Ho cercato di scriverle di getto, per non farle sembrare troppo ingessate. Ci saranno quindi degli errori e dei refusi..."

Va bene così.

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L’habitus culturale del neoproletario è a dir poco sconfortante. Leggendo il libro viene fuori un quadro di desideri condizionati in larga misura da un medium come la televisione che, oggi più che mai, libera dal peso di pensare. Hai fiducia nelle possibilità di un mezzo minoritario come Internet? 

No, nessuna fiducia. Internet è una grande caserma, volgare e inutile allo stesso modo. La libertà che il mezzo potrebbe offrirci viene usata solo per insultare e scrivere scurrilità. I tanti siti di "letteratura" non sono che la solita discarica in cui si raccolgono gli scarti di una beat generation di maniera. Basta dare un'occhiata a un qualunque guestbook per rendersi conto di quanto sia basso il livello intellettuale dell'utente medio della Rete: nick imbecilli, sfruttamento dell'anonimato per esaltare continuamente la propria presunta potenza sessuale, diatribe calcistiche. Internet è un Bar Sport, un istituto per elettrotecnici, una grande parete di cesso dove si lasciano i peggiori graffiti. Spero che la Rete morirà presto e con essa il mio sito. 

 

 Sei tornato a pubblicare con Castelvecchi. Tra le garanzie offerte da questo editore c’era anche quel tempismo del tutto assente presso la Einaudi ai tempi di Chaltron Hescon? Ricordo che quel libro, annunciato da mesi, non usciva mai; nessuno ne sapeva niente.

Ricordo quel periodo come uno dei più frustranti della mia vita. Avevo provato a fare lo scrittore serio. Avevo anche un agente letterario che mi aveva proposto a Feltrinelli. A pochi giorni dall'uscita del libro tutto fu bloccato per motivi che non sono mai stati chiari. Quindi siamo passati a Einaudi Stile Libero che però mi fece cambiare la struttura del libro. E quando finalmente il libro uscì, una delle metà di Stile Libero fece di tutto per non promuoverlo, dicendomi anche in faccia che non mi stimava. Auguro molta fortuna alla collana "giovane" einaudiana, impreziosita ultimamente da tanti gialli e dal libro di Gene Gnocchi. Sono tornato da Castelvecchi perché non mi voleva nessuno? Forse. Oggi non ho più agenti letterari e mi sento molto meglio, più libero, più stupido. Stupidità e libertà vanno spesso in coppia. Come diceva anche il Perozzi alla fine del primo Amici Miei: "E' stata una bella giornata... libera... stupida".

 

 Hai dichiarato di aver tagliato delle parti dal libro per renderlo più agile. Cosa è rimasto fuori?

Alcune parti sull'arredo bagno, una parte su Donatella Versace che si addormenta davanti alla televisione, un capitolo su una serata culturale con Jovanotti che presenta il libro della Pivano, le vacanze esotiche della coppia neoproletaria e altro che però verrà naturalmente riutilizzato da qualche parte. Non si butta via mai niente.

 

In Fight Club c’è una scena nella quale l’attore Edward Norton è seduto sul water e sta sfogliando un catalogo Ikea. Di colpo lui si ritrova proprio dentro questi grandi magazzini del mobile...io ho un tenero ricordo dei cataloghi Vestro e Postal Market; li portavo in bagno al fine di catapultarmi idealmente tra le anonime modelle della sezione ‘Intimo Donna’. La domanda è: possiamo parlare di un’incidenza dei cataloghi Ikea sull’immaginario erotico neoproletario?

Attualmente il catalogo Ikea è la mia lettura preferita perché sto per cambiare casa e devo quindi pensare all'arredamento. Sono sempre stato un fan dell'Ikea e lo sono ancora di più oggi, momento in cui molti ex clienti, intellettuali e snob, la evitano proprio perché si è abbassato il livello medio di utenza e preferiscono Cargo o Hi Tech, luoghi in cui gli stessi oggetti Ikea sono venduti a prezzi maggiorati almeno quattro volte. Ma il neoproletariato continua a sognare le camere da letto in barocco veneziano o quelle bianche e oro dei solidi mobilifici che ti invitano a pranzo e a cena. Le "storie" narrate nelle prime pagine dei cataloghi Ikea non sono neoproletarie perché non sono create in Italia. Sono storie di persone normali alle prese con uno spazio abitativo ridotto. Il neoproletariato, fenomeno tipicamente italiano, è ancora incantato dal lettone matrimoniale con la bambola sulla coperta damascata e il rosarione sul muro. Sarai d'accordo con me nel dire che le edizioni estive dei Postal Market ci offrivano tante belle occasioni in più, perché oltre alle mutande presentavano anche i costumi da bagno.

 

Una delle caratteristiche più disarmanti sviluppate dal neoproletario è quel genere di competizione con il proprio vicino di casa che spesso sfocia in situazioni assurde, in un reciproco sbranarsi. L’eclisse della solidarietà coincide con la scomparsa di una coscienza comune ma viene anche il dubbio che gli italiani abbiano mai voluto averne realmente una...

 La coscienza comune degli italiani è un fenomeno mobile. A livello nazionale nasce solo in caso di competizioni calcistiche. Poi basta, scompare. Restiamo fondamentalmente un popolo legato al "Comune". Lo spirito del campanile è più forte di quello nazionale. Pensa alle rivalità tra Lodi e Crema o tra Latina e Frosinone. Quando Bossi parla di "popolo padano" sbaglia perché quel popolo non esiste. Esistono tanti popolini che, sparsi per la pianura, si odiano tra loro. E al loro interno vi sono migliaia di individui che combattono per imporsi sul proprio simile. Il risultato è patetico: alla fine si assomigliano tutti.

 

Vivere e lavorare rappresentando a se stessi degli obiettivi allucinanti: ore ed ore in palestra per farsi un fisico da divo della fiction e, soprattutto, comprare, comprare, comprare...hai scritto: “Per nascita, il neoproletariato ha le mani bucate”...

Per essere un neoproletario di successo bisogna spendere, anche perché gli orpelli che ti garantiscono il successo cambiano a scadenze mensili. I ricchi non spendono. Comperano un cappotto costosissimo, ma poi lo usano per anni. Sono i poveri che buttano via tutti i loro soldi per acquistare cose che poi butteranno via dopo pochi mesi. Per questo sono poveri. Perché ieri hanno comperato gli occhiali da sole scuri, oggi hanno dovuto comperare quelli semitrasparenti. E alla fine dello stipendio resta poco.

 

Neoproletariato si apre con una serie di quadretti narrativi dal titolo D&Grado. Sei stato tentato di proseguire in questa direzione e scrivere un romanzo o una raccolta di racconti legati da un unico filo conduttore?

Perché sono in un momento in cui detesto i romanzi. Davvero non sopporto che l'editoria, la critica, i lettori sprechino soldi, energie e parole per esaltare creatori di storielle. Sono scandalizzato quando vedo che i romanzieri, i giallisti, sono presi così sul serio, soprattutto quelli che non hanno nulla da dire, che non riescono nel loro intento di scandalizzare e che falliscono quando vogliono rappresentare una realtà orecchiata e mal conosciuta. E quel poco che hanno da dire lo raccontano in una lingua sciatta, senza ricerca, senza personalità. Neoproletariato ha molti momenti "narrativi", ma ciò non significa che stia pensando a un "romanzo". Non ho voglia di finire nella fossa comune dei tanti narratori tristi e anonimi.

 

Qualche anno fa Castelvecchi pubblicò Labranca Remix, una piccola antologia di tuoi scritti manipolati da altri autori. Ripeteresti l’esperimento affidando ad altri il compito di campionare parti di Neoproletariato per dar vita a delle ‘alternate takes’ del libro?

Forse. Può darsi che lo faccia, ma solo sul sito. Mi divertii molto ai tempi rendendomi conto di come l'esperimento non fosse stato capito nella sua struttura nemmeno dai "giovani scrittori", soprattutto quelli dell'ambito letame-e-lambrusco.

 

I tuoi libri sono sempre corredati da immagini. Hai mai pensato di prendere in mano una videocamera e girare un documentario alla maniera di Michael Moore?

Sì, molte volte, ma poi mi blocco perché non ho un autista. Intendo dire che spesso mi verrebbe voglia di girare soprattutto nell'hinterland milanese, ci sono dei punti favolosi, come la via Marx in un paesotto nella periferia est. Una via che a un certo punto fa un dosso molto pronunciato e dietro al dosso vedi spuntare un edificio enorme e temi che scendendo dal dosso andrai a sbatterci contro. Invece la strada passa "dentro" la casa, hanno fatto una specie di apertura nell'edificio e la strada passa tra gli appartamenti. Un Le Corbusier ancora più radicale. Temo per che alla fine diverebbero fotografie appena animate. E poi c'è sempre il problema della guida. Diventa difficile guidare, fermarsi, scendere per fare le riprese e ripartire. Avrei davvero bisogno di qualcuno che guidi mentre io uso la camera. Ho già il titolo pronto da anni per il documentario: "Ecco perché gli extraterrestri non si rivelano".

 

A Roma, nella libreria Odradek, hai cominciato la presentazione del libro con un one man show approfittando di un ritardo di Alberto Castelvecchi. Magari qualcuno si aspettava un approccio più formale, con tanto di relatore...

Ero in ritardo anche io perché non conosco Roma e la libreria era in una viuzza difficile da trovare. Mi sono rivolto a un passante ed era un ragazzo tunisino che comunque conosceva la città e mi ha accompagnato fino in libreria e si è anche fermato per tutta la presentazione. Chissà cosa avrà pensato. In quanto agli approcci formali... io trovo del tutto inutile la figura del relatore. Ho già poco da raccontare io, se questo poco deve poi essere introdotto da altri tanto vale che si stia ognuno a casa propria. Nelle presentazioni devi comunque fare qualcosa di diverso, non puoi andare a raccontare il libro o a leggerne parti. Si presuppone che i convenuti abbiano già un'idea di quello che c'è scritto nel libro. Di solito leggo qualche parte inedita. Se proprio mi sento a mio agio leggo anche una parte del libro. Mi piace leggere il pezzo su Leonardo, tenendo solo i paragrafi della visita all'Ultima Cena. Quando sto per iniziare a leggere il finale, ossia la distruzione dell'affresco, quella parte scritta su modello del video di Madonna, faccio partire la musica e travesto uno spettatore da pensionata. Ma a Roma mi ero innervosito e avevo solo voglia di tornare a casa.

Grazie.