Andrea
Manni nasce a Roma il 4 gennaio 1958.
Nel 1989 scrive e dirige il cortometraggio Dubbing in Italian Style,
(menzione speciale al Torino Film Festival)
Nel 1996 scrive e dirige il suo primo lungometraggio Da cosa nasce cosa…
(Miglior Opera Prima al 50° Festival del Cinema di Salerno - 1997).
Nel 1998 scrive e dirige il cortometraggio Un uomo a piedi (in
concorso alla 55° Mostra del Cinema di Venezia)
Il Fuggiasco è il suo secondo lungometraggio di cui è anche autore della
sceneggiatura assieme a Massimo Carlotto.
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Tra il tuo primo cortometraggio (Dubbing in italian
style, del 1989) e Da cosa nasce cosa... (1997) sono passati
sette anni; cinque tra Un uomo a piedi (1998) e Il Fuggiasco.
Sei tu a prendere tempo tra un film e l'altro o ti sei ritrovato nella
condizione di dover aspettare a lungo il verdetto dei produttori su un
determinato progetto?
La seconda... Fare films in Italia è difficile. Fare films
che valgano la pena di esser fatti, è ancora peggio, tanto più se non sei un
regista affermato o particolarmente amico di qualcuno. Fare la commedia è
più semplice ma purtroppo non ho trovato nessun progetto che mi abbia
appassionato e le commedie che ho scritto non sono state ritenute,
ancora...giuste per il mercato. I produttori ma ancora di più le televisioni
con l'acquisto dei diritti televisivi, decidono se un progetto debba o non
debba esser prodotto.
Puoi dirmi qualcosa del tuo lavoro sul set? Usi uno
storyboard, o almeno ne hai usato uno per Il Fuggiasco?
L'unica cosa che non amo di questo lavoro è che cominciamo a
lavorare molto molto presto al mattino ed io la mattina presto non sono
proprio al cento per cento... Per far capire ai miei collaboratori come
voglio procedere, faccio degli schizzi delle inquadrature ma chiamarlo uno
story-board mi pare francamente eccessivo, disegno piuttosto maluccio.
Sul set mi sento a mio agio. Ci deambulo da più di 20 anni. Mi diverto a
scherzare con i miei collaboratori, giochiamo spesso e questo rende più
piacevole il lavoro. Non sono un dispotico urlatore e lavoro a stretto
contatto con tutti, forse perché avendo fatto l'aiuto regista per tanti anni
non riesco a smettere di controllare tutto, in tutti i reparti. Mi piace che
tutti collaborino, il film non lo sento solo mio. I film non si fanno da
soli, è un gioco di squadra ed ho avuto una troupe meravigliosa.
Avevi già in mente Daniele Liotti come protagonista
mentre scrivevi la sceneggiatura insieme a Carlotto?
No. Eravamo già abbastanza schizofrenici, cercando di avere
un sano distacco dal fatto che quello che scrivevamo era vero. In più per me
era ancora più bizzarro, perché il mio interlocutore (Massimo Carlotto) era
proprio quello vero. Pensare anche a chi lo avrebbe interpretato sarebbe
stato impossibile. Un problema per volta. E ti assicuro che non è stato
facile emotivamente... Della scelta di Daniele Liotti sono orgoglioso. È stata una sfida nella sfida ma secondo me
Daniele è una delle sorprese (positive) del film.
Sempre a proposito di attori, come è stato trovarsi
sul set Joaquim De Almeida e Francesca De Sapio? Nei loro curriculum si
leggono i nomi di Peter Sellars, Jim Mc Bride, Dennis Hopper...
Lavorare con dei professionisti di talento è sempre bello e
stimolante. C'è un primo momento di diffidenza, ci si annusa ma se poi c'è
complicità, è davvero un piacere. Basta una parola, uno sguardo e ci capisce
subito. Non scorderei però anche tutti gli altri, Benvenuti, Citran,
Giallini, Coli, Tessari, Ranieri, Giovannucci e lo stesso Liotti. Io non amo
gli attori, però amo quelli bravi...
Quanto intervieni sul lavoro del direttore della
fotografia? Di Massimino Pau mi colpì molto la luce per Il Branco di
Marco Risi, ora le scelte fatte per Il Fuggiasco mi sembrano
altrettanto belle. Ho sempre pensato che chi si occupa di illuminare un set
possa trovare molti più stimoli se la storia è drammatica o thriller. Sei
d'accordo?
Massimo Pau è un grande. Da lui ho ricevuto un grande ed
affettuoso supporto. Ci conosciamo da 20 anni, poi ci siamo persi di vista
per 7/8 anni e rincontrarsi è stato bello. Il lavoro del direttore della
fotografia nelle commedie è relativo, meno creativo. Solitamente la commedia
deve avere immagini molto luminose, brillanti, allegre e vivaci. Nei films
"drammatici" o in tutto ciò che non sia commedia, il lavoro è più
interessante, anche al limite della sperimentazione. Un po' gli ho rotto le
scatole ma Massimo aveva capito esattamente il film ed abbiamo marciato
nelle stessa direzione. Tranne che in Messico, la fotografia è fredda e
contrastata, propedeutica alla vicenda. Spero di lavorare di nuovo presto
con Massimo.
Che tipo di rapporto hai invece con i montatori? Ti
capita di visionare un primo montaggio e di cambiarlo molto?
Per come giro, è abbastanza semplice seguire le indicazioni
che arrivano al montaggio ma questo film ha avuto una lunga gestazione per
quanto riguarda l'edizione. Alla fine avevamo tanto materiale, tanto da
poter montare un film di più di 2 ore ma non era quello che volevamo. È stato tagliato molto e tagliando delle scene,
dei personaggi perdevano d'importanza e quindi diventava fisiologico
tagliare anche loro. Delle scene non sono venute come speravo ed allora via
anche quelle... Insomma ora i film dura 93' senza titoli di coda. Un grazie
va anche ad Alberto Lardani, il mio montatore, che mi aiutato e sopportato
per circa 8 mesi. Devo dire che anch'io ho sopportato lui...meno male che
siamo molto amici.
Come sei arrivato alla scelta di Teho Teardo per la
musica del film? Conoscevi il suo lavoro con artisti internazionali come
Mick Harris, Lydia Lunch e Jim Coleman?
L'incontro con Teho è stato fortuito e fortunato. No, non lo
conoscevo. Mi è stato presentato dal suo agente. In quel periodo stavo
ascoltando il lavoro di molti musicisti ma quando ho sentito il lavoro di
Teho non ho avuto dubbi. La musica è una mia grande passione e mi picco di
saperne parecchio, molto più che di cinema... Gli auguro tutto il successo
che merita.
Durante la conferenza stampa si è accennato alla
possibilità di portare sul grande schermo un altro romanzo di Massimo
Carlotto, Il Mistero di Mangiabarche. Sarà il tuo prossimo progetto?
Spero e credo di sì. Magari non tra 4/5 anni...
Grazie. |