Lo sport non mi interessa. Negli anni d’oro di Ayrton Senna andavo ad
Imola a tifare McLaren, a consumare costolette di maiale e mignon di
whisky alle cinque del mattino sulla Tosa o sulla Rivazza, poi finì
anche quello. Mi piace la boxe. Mi piace il biliardo. Mi piace il
bowling. Mi piace il motocross. Tutto il resto mi fa sbadigliare. Faccio
questa premessa per dire che sulla carta non sarei stato la persona più
adatta a leggere e recensire il terzo romanzo di Saverio Fattori. Non
seguo il calcio, dipendesse da me gli stadi dovrebbero ospitare solo
concerti rock dei miei gruppi preferiti e se vedo migliaia di cinesi in
fila davanti al botteghino del Centro Olimpico di Pechino mi metto a
sghignazzare. L’Atletica Leggera? Ma non è meglio saltare in sella a una
Mv Agusta Brutale 910 R, dare gas e vedere quanto ci mette la bestia
quattro cilindri in linea a fare Leuca-Cuneo? Poi però mi metto a
leggere articoli che dicono:
“Se verrà il sospetto che delle atlete "donne" non dovessero essere tali
durante le Olimpiadi di Pechino sarà in funzione uno specifico
laboratorio che sottoporrà le sportive alla prova dell'identità
sessuale.”
Oppure:
“Olimpiadi di Pechino, sono aria e cibo gli incubi degli atleti in gara”. Questo
ha a che fare con gli esseri umani. È un argomento che mi affascina e
che colpisce la mia fantasia. Aprendo il nuovo libro di Fattori mi sono
venute in mente due cose. La prima è una frase di Jean Baudrillard, il
mio filosofo prediletto: “Il corpo è vezzeggiato nella perversa certezza della sua inutilità,
nella totale certezza della sua non resurrezione.” La
seconda è che l’autore emiliano di Alienazioni padane, Chi ha
ucciso i Talk Talk? e Cattedrale (pubblicato a puntate sulla
rivista Carmilla) ha nelle sue corde una rara predisposizione a
costruire drammi allegorici sulla condizione umana, sul nostro destino e
la nostra inutilità.
La solitudine, l’instabilità delle cose terrene, l’elemento comico
che si fonde con quello tragico, sono al centro anche della vicenda di
Claudio Seregni, atleta.
“Seregni
Claudio cerca un pensiero pulito. Deve concentrarsi su numeri,
prestazioni cronometriche da raggiungere, le date delle prossime gare.”,
leggiamo nell’incipit. Claudio Seregni si ammazza di allenamenti e
sopporta (male) un carico di rancore verso gli altri. È un uomo che
prende appunti minuziosi sui fallimenti degli altri, sulle meteore
dell’ambiente sportivo. Tutte le promesse mancate, tutto il potenziale
disperso delle giovani speranze dell’agonismo sono il suo nutrimento. È
razzista, Seregni. All’inizio del romanzo insulta un magrebino e la sua
ragazza, poi salta giù dall’autobus e si mette a correre come un
vigliacco dotato di buone gambe. La sua arroganza è quella di chi vive
ogni incontro, ogni situazione come un potenziale detonatore:
“Quando un estraneo
mi chiede che lavoro faccio, con una sobria aria di superiorità sul mio
interlocutore, dico: i cinquemila. Mi compiaccio di quei secondi di
imbarazzo e curiosità e attendo la replica. Cosa fai? Corro, sui
cinquemila metri ho ottenuto i risultati migliori. Atletica! Fantastico!
Gli anelli, il corpo libero! No, quella è la ginnastica, ho detto che
corro. Atletica leggera. E ti pagano? Non abbastanza. Beh, non è mai
abbastanza, ma fai una cosa bellissima. Non ho le ferie e nessuna forma
di previdenza, corro dodici mesi all’anno, in genere due allenamenti al
giorno, se ho un infortunio e non posso gareggiare si fa pesante, non
corro per un gruppo sportivo militare, la mia società mi passa un
mensile fisso ridicolo. Capisco. Non credo.”
Ambizione: ecco di cosa parla Acido lattico. Con schiettezza
ed anti-buonismo, con un andamento a spirale limpido e secco, Fattori
mette a fuoco l'angoscia di non farcela a diventare qualcuno, di
rimanere intrappolati nell’orrido purgatorio dei “non ancora”. Messo a
nudo davanti alle sue inquietudini, l’animale uomo non è più una
gazzella ma un tossico impantanato in quei buoni propositi che a lungo
andare sono diventati smania, delirio, gravosa ossessione.
L’atletica leggera non è lo sport che va per la maggiore in una
nazione di pallonari. Nell’atletica leggera, quando le Olimpiadi si
profilano all’orizzonte, devi dannarti l’anima se vuoi essere notato. I
protagonisti sono gli altri. Gli altri possono rubarti facilmente la
scena, estrometterti, renderti ombra tra le ombre di un’avvilente
nullità. È a questo che pensa Seregni Claudio mentre chiede al suo corpo
di non arrendersi a ogni sofferenza, al più irrevocabile declino.
Scritta magistralmente, con la stessa ricchezza di particolari e
profondità di esposizione che caratterizzavano le prove precedenti,
l’ultima opera di Saverio Fattori è grande narrativa dal contenuto amaro
e spietato. Come lo sport, come la vita reale.
Nino G.
D’Attis
Saverio
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