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TOMMASO PINCIO: Un Amore dell’Altro Mondo (Einaudi, pp. 304, € 8,50)

 

Homer B. Alienson non dorme da anni. Da quando era piccolo, per la precisione. Si è imposto di non chiudere gli occhi per non diventare come gli altri. Ultracorpi. Creature maligne che arrivano dallo spazio profondo e di notte, quando tutto sembra tranquillo, si sostituiscono agli esseri umani. Fantascienza? Neanche per idea. La spiegazione dettagliata di questi strani fatti è in un filmato dal titolo Invasion of the Body Snatchers trasmesso dalla televisione americana il 20 febbraio 1967. Anche sua madre ha subìto l’orrendo contagio diventando una di loro. Una madre che non capiva l’ossessione di Homer per i regali di Natale in serie: due, tre copie dello stesso giocattolo che, più tardi, sarebbero tornate utili per mettere su un piccolo commercio con una clientela vagamente necrofila.

Diciotto anni da insonne sono tanti: Homer non ce la fa più, cerca disperatamente una soluzione (un sistema) e la trova seguendo i misteriosi graffiti sparsi per Aberdeen da un altro ragazzo solo e fragile di nome Kurt. L’incontro avviene sotto il North Aberdeen Bridge, sul greto di un fiume pieno di pesci velenosi come serpenti. Frase chiave: "Anch’io sono stato un alieno da bambino" (e come colonna sonora potete metterci Something in the way, dall’album Nevermind).

Kurt Cobain e Boda, il suo amico immaginario. Oppure: Homer B. Alienson e il suo amico immaginario di nome Kurt. "La verità biografica non esiste", è scritto in una breve nota posta all’inizio: dichiarazione che rende il lettore libero di ripercorrere la vicenda umana di Kurt Cobain al di fuori della ‘verità’ sbandierata dalle biografie più o meno ufficiali sul leader dei Nirvana, oltre le dichiarazioni dei testimoni diretti ed anche un passo più in là rispetto al grido straziante di tutti i fans all’indomani della dipartita di Kurt.

Da qualche anno a questa parte, scrittori come Tommaso Pincio hanno cominciato a condurci (finalmente) verso un altrove della letteratura italiana. Qualcuno dovrebbe spiegarlo a Stefano Giovanardi che, recensendo questo libro sulle pagine de La Repubblica (21/3/2002), ha mostrato una volta di più i limiti oggettivi di certa critica in merito alle più interessanti tendenze letterarie dei nostri giorni. Rimproverare a Pincio di aver scritto un libro ambientato negli States piuttosto che in Italia, un romanzo che insegue i miti "nella storia effimera delle icone giovanili", denota un atteggiamento ottuso e a dir poco anacronistico, specchio di un crocianesimo non ancora debellato in un paese in cui si legge poco e male anche per la disturbante permanenza della distinzione tra generi alti e bassi (ogni mercoledì, con il vostro quotidiano, i Classici del Novecento a prezzi stracciati...ma dove sono Philip K. Dick, Vonnegut e Burroughs?).

Un Amore dell’Altro Mondo è un libro che, contrariamente ai dubbi espressi da Giovanardi, durerà nel tempo quanto la musica dei Nirvana. È il (terzo) romanzo di un autore straordinario che ha scelto di nascondere la sua vera identità dietro uno pseudonimo, divertente calco fonetico di quel Thomas Pynchon che (quasi) nessuno ha mai visto in faccia. Difesa della privacy, rinuncia all’effimera gloria di presenziare con nome e cognome veri ai salotti televisivi? Non importa. Contano i libri, la qualità delle storie e le emozioni che le storie ci comunicano. Poi (ed è molto di più di un gioco intellettuale), sarà utile prendere nota che Tommaso Pincio era uno dei personaggi di M., primo romanzo di Tommaso Pincio pubblicato da Cronopio nel 1999. Realtà/finzione: un sistema per non essere inscatolati, "ultracorpati", direbbe Homer B. Alienson. Pensate in ordine sparso a Borges, Welles, al Ballard di Crash, a tutti i film americani firmati da John Doe, a Norma Jean/Marilyn Monroe, ai nomi di Dio e a quelli usati da Richard D. James prima e dopo Aphex Twin, agli XTC camuffati da Dukes of the Stratosphear, al Duca Bianco posseduto dall’alieno Ziggy (comunista a Cuba?), a Salinger che potrebbe essere anche Pynchon e Pincio che...

(Veronica Lago)