“Che fine hanno fatto i Talk Talk?
Dopo It's my life... dopo
Such a shame...
Le solite storie di eccessi e droghe?
Le solite disarmonie post successo?”
Devo
scrivere di un amico che scrive. Devo parlare del secondo libro di una tra
le migliori e più seguite firme del nuovo corso della rivista che state
leggendo. Non è facile, you know. Oppure sì, a ben vedere: prima di
conoscere personalmente Saverio Fattori (solo qualche mese fa, in occasione
di un reading tenuto insieme a Roma) e un po’ prima di accoglierlo nella
nostra gang, ho avuto il piacere di ospitare su queste pagine una recensione
di
Alienazioni padane, suo debutto letterario. Di lui non sapevamo niente,
c’era solo questo romanzo “invisibile” (vuoi per il formato tascabile, vuoi
per la copertina con una grafica atroce, vuoi per misfatto di una
distribuzione inesistente) eppure straordinario, spudorato, duro come un
diretto sparato sul naso.
Alienazioni padane
era
ed è ancora letteratura pura, cioé quanto sopravvive al prodotto smorfiato
da alta classifica da consumarsi entro e non oltre la data di scadenza (mai
indicata ma facilmente prevedibile, almeno dai lettori d’acciaio). In
un’epoca di editori, scrittori, critici beotamente prostituiti alle fottute
esigenze di mercato, ritrovarsi tra le mani una ricetta farmaceutica zeppa
di controindicazioni non è cosa da poco. È quel ventaglio di differenze che
da noi separa Fattori, Aldo Nove, Antonio Moresco e pochi altri dal blocco
di segaioli in rigor-mortis da primi della classe. I sedicenti autori. I
sedicenni per sempre (anche quando panza e calvizie avanzano da un pezzo). I
miracolati dal botto in classifica, dalle cinquecento battute del critico
più coo(g)l(ione) d’Italia.
Fattori esiste, fa l’operaio in fabbrica, non riceve anticipi dall’editore
che lo pubblica, non può permettersi il lusso di trascorrere due mesi in una
località amena et segreta per scrivere i suoi libri senza troppe rotture di
cazzo intorno, non ha mai vinto uno straccio di premio, non ha la memoria
del cellulare intasata di sms di caldissime fans in balconette e brasiliana
Yamamay (Save’, se poi scopro che ‘sta cosa non è vera ti sputo in faccia!),
non fa il martire della letteratura, non ha un blog (Save’, prova ad aprirne
uno sotto falso nome, fingi di avere le pocce e la passerina e vedrai che
contratti...). Fattori sostiene:
“Odio il termine BEST SELLER. Almeno fino a quando non ne avrò pubblicato
uno”.
Devo andare avanti? Naaah, mi sa che adesso siete pronti per la fase calda:
la recensione di questa “falsa biografia autorizzata di Marco Orea Malià”,
stilista dei capelli, figura che nel decennio Ottanta ricopre un ruolo
centrale tra le molte figure e figurine del tricolore plasticoso e che a
Bologna, dopo varie esperienze lavorative milanesi, modella teste e
“si inventa party ed eventi
cultural/mondani e il salone di parrucchiere diventa qualcosa di
indefinibile e sfuggente.”
Marco
Orea Malià (all’anagrafe Marco Zanardi), incensato da Mariuccia Casadio
sulle pagine di Vogue, amico di Vasco Rossi, Freak Antoni e dello
scrittore ‘80 Tondelli, artefice del look dei Righeira e di quello dei Matia
Bazar periodo Vacanze romane, come pure dello
“squadro del ricciolo di Eros Ramazzotti”.
La
falsa/vera biografia del parrucchiere “concettuale”
fissato
con le
icone
religiose si incrocia con i pensieri del narratore innescando una miscela
esplosiva di frammenti del passato e del presente. Comica (le elucubrazioni
intorno alla “fidanzata postmoderna concettuale”), drammatica,
lisergica:
“Le ragazze al bar. Nulla
le mette a disagio, non conoscono imbarazzo, si plasmano a tutto e tutto
plasmano. Sanno tenersi gli occhiacci maschili incollati a culo&tette, hanno
spalle larghe da nuotatrici che si aprono da top neri. Nelle mutandine
tengono lische di pesce perfettamente disegnate. Non abbassano lo sguardo e
tengono i tuoi occhi in ostaggio, se non sei della loro razza il cazzo ti si
fa piccino piccino. Il sangue ti va ovunque fuori che lì e sudi, sudi acido
e il cervello ti va in confusione.”
Chi
ha ucciso i Talk Talk?
è un
testo-mondo libero dal gioco/gioco dell’accattonaggio nostalgico su quelli
che Girolamo De Michele, nella prefazione chiama
“anni dell'azzeramento dell'etica”.
Una parata di dark, dandy, new romantic, alternativi bolognesi, alienati
padani, locali à la page, teste di cazzo à la page, ronzii
metallici, scricchiolii, crepe insanabili. Un background
cultural/politico/di costume che sfugge all’inquadramento generazionale per
abbracciare la storia recente del nostro Stivale mai risolato, ribattuto,
raffilato.
Testo marcio, astioso, per nulla conciliante e pertanto (evviva!) privo di
quella patina specifica che riveste quelli che personalmente definisco
“libri inutili scritti da emerite, inutili facce di culo”. Fattori usa il
vuoto per andare in profondità, scardinando le porte della rievocazione, del
revival cialtrone. Poi rivela un altro collasso, l’infezione del
virus-parola, lo stato del sistema immunitario del testo (della testa:
scolpisci pure i tuoi capelli, ma è il cervello che conta). Come
nell’appunto intitolato Padania sud-est 20 ottobre 2004:
“Molte
pagine sono completamente illeggibili. File interminabili di lettere in
accostamento casuale si alternano a frasi superstiti. La macchina emette
scricchiolii strozzati sempre più sofferti.”
Siamo infetti (“Infect me with your love”, cantava The The negli Eighties).
“FRAGILI ALI SPEZZATE LA CONFERMA
DELLA FRAGILITÀ È LA NON SOPRAVVIVENZA O NE CONOSCETE UNA PIÙ
NETTA?^^^^^^^^^^^^^^^^^^^!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
Questo libro è la perla più rara in un mare di merda.
Nino G. D’Attis
sul web:
www.gaffi.it
,
www.oreamalia.it
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