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GIAN CARLO FUSCO: Duri a Marsiglia (Einaudi, pp. XXVI-196, € 10,00) |
“Un feuilleton inesausto, tutto giocato sull’onda del filone “nero” francioso, un po’ Gabin e un po’ teatro d’abord, tanto cinema in sequenza e grani di Prévert sparsi qua e là, o accatastati come il crescione a fianco della bistecca parigina” (Giovanni Arpino).
L’ha venduta bene il nostro Fusco la storia della sua permanenza a Marsiglia, pur non essendoci (probabilmente) mai stato. È che smentirlo è ardua impresa, data la quantità incredibile di particolari inseriti nel testo che renderebbe certo il suo soggiorno da quelle parti, e autobiografico il racconto. Insomma l’anarchico poco desiderato dal Bel Paese che nel 1932 decide di muoversi verso la più sicura Francia sembra corrispondere alla figura del nostro amato autore. ”Perché ve ne siete sortito dall’Italia? Avete rubato? Avete ammazzato?” “Né una cosa, né l’altra! Non riuscivo più a sopportare i fascisti. Ecco perché sono qua!” “Roba di politica, allora! E come la pensate? Siete socialista o comunista?” “Sono anarchico.” “Di quelli che mettono le bombe?” “Non proprio. Sono un individualista. Un libertario. Non credo a questa società. Ai suoi sistemi. Alle sue istituzioni. Alle sue leggi e alla sua falsa morale. Tutte trappole per fregare i poveri e favorire i ricchi! Per fare abbassare la testa ai lavoratori davanti ai padroni! È tutto uno schifo. Ma non credo neppure che il rimedio siano le bombe!” Dichiarazione di intenti per il protagonista, liberatoria nei confronti dei suoi futuri datori di lavoro. Il clandestino inizia traducendo testi “Tanto nel genere politico, quanto in quello pornografico. Cosa ci vuoi fare, compagno! Mandando in Italia, di sfroso, i libri sporchi, mi rifaccio di quello che spendo con la stampa politica! Una mano lava l’altra!”. Situazione scomoda e poco gratificante per Charles Fiori, nickname scelto per risiedere in territorio transalpino. Omaggio evidente a Charles Baudelaire e al suo mitico libro… “una copia delle Fleurs du Mal come breviario profano ed unico viatico. Poi, la via volge verso il mare. Dopo l’ultima curva Marsiglia” afferma Tommaso De Lorenzis nell’imperdibile introduzione alla ristampa del romanzo, datata 2005. Il critico rappresenta una sorta di Traghettatore nei confronti di chi si pone alla lettura, lo prepara psicologicamente (in 25 pagine) alla vita e ai personaggi insoliti della città francese, tant’è che quando iniziano le avventure del nostro, si ha la sensazione di essere già là, ad attenderlo.
Dicevamo: Charles è insofferente e si lascia avvolgere dai sicuri tentacoli
della mafia calabrese che controlla la sua parte di territorio locale,
“equamente” spartito con i còrsi ed i catalani. Fa carriera l’anarchico
italiano, da soldato semplice (leggi magnaccia) a “body guard”, fino a
diventare stretto collaboratore di un boss. Duri di un’altra pasta, come il padrino còrso Antoine (Tinò) Guerini che nella primavera del 1942 convoca i suoi rivali in una trattoria di campagna allo scopo di difendere Marsiglia e i suoi traffici dai nazisti e all’alba dell’8 maggio, dall’alto di un montarozzo nella salina abbandonata di Le Rove, improvvisa un comizio travanti a trecento facce patibolari: “Vive la liberté! Vive Marseille et son milieu! À mort le nazisme! Aux armes mes enfants!” Mammasantissima del calibro di Don Raffaele Spirito, che invocando san Bruno, san Vito, sant’Ippolito, san Pietro a Maida, san Giovanni in Fiore, santa Severina e la Madonna santissima delle sette spade insanguinate, accoglie ufficialmente Charles all’interno della ‘famiglia’. E poi i soldati semplici, le milizie del milieu, a cominciare da Vincent/Vincenzo Parasole, il più anziano di cinque temuti fratelli siciliani che al primo incontro col protagonista sentenzia scuro in volto: “Siamo qua per scassarti la mine, sale louse!”. Con Céline, Fusco divide una visione dell’autore fornitore e non consumatore, lontano cioè dal potere di giudicare e domandare alcunché. Lo senti dalla lingua sanguemista e dal ritmo, dalla fusione potente di elementi comici e drammatici: una festa, un godimento continuo in cui facce e locations sembrano essere catturate da una macchina da presa azionata da un uomo insonne. Céline diceva: “Chi prende una nave da crociera desidera svagarsi, mentre io sono giù alle macchine, e lavoro e fatico alle prese con nafta e carbone. Ma questo non riguarda il passeggero, che ha pagato il biglietto e ha il diritto di divertirsi.” È una dichiarazione che calza a pennello sulla scrittura mobile e combustibile di Fusco, tanto più sferzante, felicemente immodesta quanto fisiologicamente priva di nozionismi e tormenti autoriali, sollevata da parentele coi Calvino, i Bassani, i Parise. Nero d’altri tempi, d’altre atmosfere. Fuori tempo massimo? Certo, per scelta dello scrittore, che coraggiosamente affronta il conformismo e rende l’estremo saluto al filone “nero francioso”. Alle porte, già scalpitante, il poco più che trentenne Jean Patrick Manchette sta per ridefinire il senso di noir nel Paese dello Champagne…
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