Cos’è la
fantascienza? Un parto fantasioso della mente? Una prospettiva eccentrica
del normale o una visione normale di un mondo che non è il nostro mondo? No,
niente di tutto ciò; è un’attenta analisi del presente in una visione
futuristica. Questo è. La cultura positivistica-materialistica nell’800 ha
dettato le incontestabili condizioni della conoscenza sulla base di un
fiscale razionalismo: esiste tutto ciò che è dimostrabile; ma è veramente
così? Se riflettiamo attentamente, quest’assunto non può non apparirci come
l’ottusa difesa delle proprie convinzioni. Tutto ciò che potrebbe minare la
nostra presunta storia, la nostra visione delle cose, è pericoloso. Dunque i
misteri del passato quando non comprensibili vengono troppo superficialmente
liquidati come manifestazioni religiose sfociate nel simbolismo. Altri
esseri viventi nell’universo, in un lontano passato, potrebbero esser scesi
sulla terra e conseguentemente aver condizionato la nostra evoluzione,
questo non può essere vero perché non dimostrabile; in realtà, non lo è
perché l’ammetterlo, quand’anche solo come ipotesi, farebbe crollare in un
sol colpo il castello di carta sul quale abbiamo edificato il nostro essere.
Il fantastico è
sulla terra, basta osservarlo. Il fantastico non può che essere una
proiezione presente del nostro futuro. Il fantastico è reale. P. K. Dick è
uno scrittore realistico, per lo meno nell’accezione di
Louis Pauwels e
Jacques Bergier autori di quel fondamentale libro che è Il mattino dei
maghi. Se realismo è la dottrina che considera obiettivamente i fatti
reali e se il concetto di reale si estendesse a tutti quei fenomeni che
scientemente vengono accantonati come fenomeni da baraccone (telepatia,
veggenza, extra-terrestri…) allora concorderete con me nel ritenere P. K.
Dick uno scrittore fautore di quel realismo-fantastico teorizzato dagli
autori del Il mattino dei maghi. È uno scrittore che prima d’ogni
altra cosa si è concesso quel privilegio che solo in pochi hanno il coraggio
di perseguire: la libertà di saper osservare senza l’ombra ingombrante dei
pregiudizi. È dall’analisi di un recente passato che Dick ha descritto
l’ipotetica condizione umana in un prossimo futuro. Un veggente? No, semmai
un lucido illuminato.
I replicanti
del racconto Ma gli androidi sognano
pecore
elettriche? (da cui
Ridley Scott trasse il film Blade Runner) cosa sono se non la
simbolica esposizione di un potere tecnologico (e della sua implosione),
amministrato da un potere politico-economico che ormai è il parametro su cui
vengono prese le decisioni dai governanti della nostra società? Esiste
l’inquinamento, e questo è un dato di fatto, esiste la possibilità di
costruire automobili elettriche o all’idrogeno ma ciò non viene fatto,
perché? L’impegno a smaltire le scorte di automobili inquinanti a vantaggio
di una lenta conquista del mercato da parte di automobili ecologiche non
sarebbe la scelta più logica per il bene dell’umanità intera? Certo, ma
l’uomo ormai intrappolato dentro la gabbia che s’è costruito attorno non
decide più per la propria sorte ma per quella dell’economia. Fermo restando
che da qualche parte in città c’è qualcuno che si sta scopando una bambola
gonfiabile, allora perché non con un replicante?
In
un’intervista del 1976 realizzata da
Daniel De Perez, Dick dice: "Ho il
forte presentimento che noi siamo in qualche genere di labirinto costruito
per noi. E noi siamo esaminati […] sento sempre che noi siamo
calcolati. Noi siamo calcolati." Ed ancora: "Io credo, e ciò si
presenta nei miei libri, che questo è del tutto solo un palcoscenico […]
la realtà è sempre una bolla di sapone."
La realtà è
evanescente, ingannevole, si dissolve sotto i nostri occhi come una bolla di
sapone e non ti puoi fidare di ciò che vedi. Questo parrebbe essere in
contraddizione con quanto suddetto: la fantascienza è una derivazione del
presente in una visione futura, come si può descrivere un futuro attraverso
il presente se quest’ultimo è ingannevole? Si può, e il come ce lo fa capire
lo stesso Dick in un’altra intervista rilasciata a
Frank C. Bertrand più o
meno nello stesso periodo.
Egli dice: "Si
scrive perché la mente umana non può che creare naturalmente […]
la fantascienza è quindi un prodotto di e per la mente umana […]
la sua funzione consiste nel liberare il lettore dal mondo attuale che
lui occupa."
è la mente
umana che crea e modifica il reale e non può essere che la mente umana a
tentare di decifrarlo. Osservare il presente attuale significa nella visione
dickiana non l’improbabile analisi dei fatti, peraltro ingannevoli, ma
cogliere l’essenza di quest’ultimi attraverso l’immaginazione. Dietro ogni
cosa c’è un intelligenza, spesso votata al male, che l’ha generata.
L’origine del
nostro presente dimora nelle menti di pochi uomini e non v’è miglior modo di
capire cosa ci riserverà il futuro che approdare a quel pensiero latente,
oggettivo e non più soggettivo, che ogni cosa disfa e fa o nasconde a suo
piacimento. Dick non prende i fatti così come si presentano ma immagina
sulla base di essi il pensiero che li ha generati, ed è dopo averlo colto
che si può permettere di approdare ad una plausibile fantascienza.
Philip K. Dick
è l’indagatore di quel reale che ancora non è presente.