"Qualsiasi cosa
vediamo da desti è morte; da dormienti è sogno."
(Eraclito)
Portiamo i
segni della merce. Nella vita reale e in quella sognata in nostra vece dai
pubblicitari, l’odore della merce (eletto a segno di una manifestazione del
divino) impregna i vestiti, li trapassa, forma strane placche sulla pelle.
Invisibili ad occhio nudo, eppure ci sono.
Siamo tutti
morti. Siamo fantasmi. Solo la merce, il prodotto che gratifica i sensi e
che talvolta è un sostituto del sesso, l’idea di umanità appiattita dal
dominio delle merci sopravvivono. Ubik è terrificante. Scritto nel
1966 (e tradotto per la prima volta in Italia da Gianni Montanari nel 1972),
pur attraversato da gustosi divertissements su diversi generi
letterari come la spy-story o la SF anni Cinquanta, è il romanzo più
spaventoso di Philip Kindred Dick, insieme a Le Tre stimmate di Palmer
Eldritch che lo precede di due anni.
L’inizio è un
falso tracciato:
"Alle tre e
trenta del mattino del 5 giugno 1992, il miglior telepate del Sistema Solare
scomparve dalla mappa degli uffici della Runciter Associates a New York
City."
Falso
nell’offrire al lettore coordinate spazio-temporali che non tarderanno ad
esser tradite. Falso nell’imbastire una trama presto abbandonata quasi del
tutto, a favore di altri sviluppi. Le tre e trenta del 5 giugno 1992 non
sono importanti. Non quanto l’epigrafe incassata tra l’indicazione del
capitolo e l’incipit:
"Amici, è tempo di pulizie e stiamo svendendo tutti i
nostri Ubik elettrici a prezzi davvero ridicoli. Sì, abbiamo buttato nel
cestino il listino prezzi. E ricordate: ogni Ubik della nostra partita è
stato usato solo secondo le istruzioni."
Presente e
passato si scambiano i fluidi portando scompiglio nelle (non) esistenze dei
personaggi. È l’inferno sulla terra, o la prova concreta dell’esatta
ubicazione del locus visitato da Dante nella prima parte della sua
Commedia. L’inferno è qui, nella lista dei prodotti Ubik che scorre
avanti e indietro nel tempo, dagli anni Novanta agli anni Trenta: birra
prodotta da luppoli selezionati, caffè istantaneo, condimento per insalate,
lamette da barba al cromo svizzero e a moto perpetuo, balsamo per capelli,
deodorante ad azione prolungata per dieci giorni, sonnifero che allevia le
pene degli insonni, reggiseno anatomico, sacchetto per conservare il sapore
dei cibi, e quant’altro.
Ubik. Ubik.
Ubik. Ubiquo come il dio dei cristiani.
"Io sono Ubik.
Prima che l'universo fosse, io sono. Ho creato i soli. Ho creato i pianeti.
Ho creato gli esseri viventi e i luoghi in cui essi vivono; io li comando a
mio giudizio."
Nella prima parte, la rivalità tra gli anti-psi
al soldo di Glen Runciter e gli agenti psi di
Ray Hollis è una pura
questione di business con implicazioni terroristiche. Per qualsiasi problema
di affari, Runciter si consulta con Ella, la moglie defunta, le cui spoglie
sono conservate nel Moratorium Diletti Fratelli di Zurigo. Quando la realtà
si sgretola e Glen, vittima di un attentato sulla Luna, si ritrova a sua
volta nel regno dei morti, è la lotta tra due entità sovrannaturali (Jory ed
Ubik) a spostare l’asse del racconto sulla componente metafisica. Bene e
Male? Dio e Demonio? Difficile distinguere – a dispetto delle apparenze –
chi tra i due sia il migliore: Jory, il predatore, il divoratore di anime,
l’agente della morte, oppure Ubik, l’onnipresente (Egli è tutto, si prende
cura di noi, possiamo identificarlo con tutto ciò che ci circonda, a
cominciare – badate – dalle merci).
Non c’è più
tempo. Non c’è più ‘qui ed ora’.
"Un’oscillazione continua" ci informa Joe Chip. Lo sapevamo. L’abbiamo
sempre saputo, sebbene fingessimo di sospettarlo soltanto. Ciò che appare
come reale è falso. La chiave è: leggere Ubik come una ghost story
nella quale questa realtà è l’aldilà che ci riporta alla celebre
domanda di William S. Burroughs: "Chi ti dice di non essere già morto?".
Joe Chip, il
più abile esaminatore elettrico al servizio della Runciter Associates,
agenzia anti-telepati, vive in una casa dove tutto è a pagamento. Vuoi un
buon caffè che ti svegli? Paga. Hai bisogno di una doccia? Paga. Vuoi dare
un’occhiata all’interno del frigorifero? Paga. E se qualcuno suona alla
porta, devi pagare per aprirla, anche se probabilmente si tratta di uno
scocciatore.
"La porta
rifiutò di aprirsi. Disse invece: «Cinque centesimi, prego.»"
Tu sei morto,
la merce è viva. Il prodotto ti ha annientato da un pezzo. Ha invaso la tua
esistenza, felice o schifa che sia, e adesso ti sopravvive. Potere del
jingle, dello slogan che s’imprime rapidamente nella mente, dello spot che
fa sognare in trenta secondi una vita perfetta, della top model che buca lo
schermo, del sondaggio di mercato pronto a metterti nel mirino, il risultato
non cambia. Il messaggio pubblicitario non è un ultimatum ma un verdetto.
Con Ubik,
Dick si guadagnò il rispetto e l’ammirazione del College du Pataphysique di
Francia che lo volle eleggere membro onorario dell’associazione nata in
onore di Alfred Jarry. Sul romanzo, sui personaggi di Joe Chip, Pat Conley,
Glen ed Ella Runciter lo scrittore volle ritornare nel 1974 per scrivere la
sceneggiatura di un film tuttora non realizzato. Sappiamo che avrebbe voluto
fortemente Victoria Principal come protagonista femminile e che si premurò
di far pervenire all’attrice una copia della sceneggiatura (con tanto di
numero di telefono all’interno delle pagine) attraverso il suo agente.
Sappiamo anche che la Principal non chiamò mai Dick e che, in ogni caso,
Hollywood non si è interessata più di tanto ad una riduzione filmica di
Ubik. Colpisce ad ogni modo da un lato l’operazione di riscrittura del
testo, non commissionata da un produttore o da un regista come – mettiamo -
nel caso di Nabokov con
Kubrick, dall’altro la capacità di Dick di pensare
nei minimi dettagli (i movimenti della macchina da presa, il sonoro, la
luce) alla possibile opera cinematografica. È un modo di elaborare un’idea
di cinema (o l’idea di Ubik come cinema) che sceglie di interrogare
lo spettatore piuttosto che aprirgli dei varchi consolatori (ecco dove hanno
fallito fin qui gli approcci di Scott, Verhoeven e
Spielberg alle opere di
Dick). Probabilmente gli unici due cineasti viventi attualmente in grado di
portare il romanzo sul grande schermo sono
Lynch e
Cronenberg. Il primo, in
particolare, per l’idea del male come forza onnipresente, non celata, e
perché interessato alle costruzioni mentali di altri mondi (Twin Peaks)
al punto da arrivare vicinissimo a Dick in Strade Perdute e
Mulholland Drive più dei diretti cimenti dei suoi colleghi. Il secondo
per le riuscite traduzioni in immagini delle pagine di Burroughs e
Ballard e
per aver incrociato diverse volte, nel corso della sua lunga carriera,
l’immaginario dickiano.
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