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TERRY RICHARDSON, O IL PORNO CASALINGO GRIFFATO Visita la gallery |
Maggio 2004: l’ultimo numero del mensile italiano Max dedica un lungo articolo a Terry Richardson, il ‘rocktografo’ amico di Faye Dunaway, Kate Moss, Daniel Day-Lewis, Catherine Deneuve, Samuel L. Jackson, Sharon Stone, Vincent Gallo e di molte altre celebrità. Lo sfacciato figlio d’arte (Annie Lomax, stilista; Bob Richardson, fotografo) pagato profumatamente da testate come i-D, Dazed and Confused, Vogue, Harper's Bazaar e dal 1997, in team con l’art director Nikko Amandonico, autore delle campagne pubblicitarie del marchio Sisley. Altri clienti, in ordine sparso: Levi’s, Club Monaco, Gucci, Hugo Boss, Anna Molinari, Costume National, Matsuda, etc."Mr. Richardson’s vision is at once humorous, tragic, often beautiful and always provocative." Così è scritto nella nota bibliografica contenuta nel suo sito ufficiale che per inciso è anche il luogo del web più generoso nei riguardi dei fans realizzato finora da un artista (deludente, al contrario, quello di Richard Kern, allestito con poche foto straviste, tutte di dimensioni ridicole). Nato a New York negli anni Sessanta, cresciuto ad Hollywood in mezzo a sciagurate gangs di motociclisti e gruppi punk o metal, ordinario iter di sex&drugs, ascesa fulminea tra gallerie (la Emanuel Perriton di Parigi, la Shine di Londra, The Parco Gallery in Giappone) e pubblicazioni interessanti (Hysteric Glamour, 1997; Son of Bob, 1999; #4 Terry Richardson in Düsseldorf, 2001; Too Much, 2002). La faccia: lui e Lemmy, il lercio leader dei Motorhead sembrano separati alla nascita. Dichiarazioni da tramandare ai posteri: «Per me la cosa più volgare è la banalità.» E: «Ho fatto sesso con chiunque sia passato davanti al mio obiettivo». Se non è uno scherzo ma una sincera parafrasi del pensiero di Mapplethorpe, ci mettiamo anche la Dunaway e Sharon Stone? E Samuel L. Jackson?Il suo lavoro con le immagini può essere paragonato, fatte le debite proporzioni di notorietà, a quello di Hans Rolly, il reuccio delle produzioni hard amatoriali a bassissimo costo (scettro rubato a Marzio Tangeri che ora rinnega tutta una filmografia di all sex ruspanti). Anche Richardson ha un approccio selvaggio all’inquadratura e si fa beffe di chi opera con un parco luci stellare o si diletta con gli ultimi feticci della tecnologia (le macchine digitali gli sono praticamente estranee, più facile trovarlo con due instant-camera impugnate simultaneamente). L’esplicito è il suo regno, la sua filosofia d’arte e vita rinforzata con dosi extra di cazzeggio, dunque in sintonia con chi rifiuta di scindere la propria esistenza dal proprio sentimento artistico. Pura ebbrezza in salsa cruda. Il medio alzato alle convenzioni estetiche: ciò che produce l’istinto, deve essere riprodotto con la minima mediazione possibile. Ecco allora la serie Batman, rivisitazione domestica di un mito in chiave gay. Ecco i Found objects, oppure decine di ritratti di gente comune sorpresa a praticare sesso orale, baciarsi, vomitare, ad aggirarsi fusa in un bar di infima categoria, a fare le boccacce come in una banale foto-ricordo, a tirarsi su la maglietta per mostrare un piercing, un tatuaggio, le tette rifatte. Locations casuali. Divi struccati del cinema, della musica, top-models, gente pescata per strada o in un cesso pubblico. Uno zoo incredibile, avverso a tutto il sistema repressivo della cultura dominante nel suo progetto di riconquista di una fisicità immediata (e dunque necessariamente impudica) nell’arte. Carne che non ha memoria di tabù, del più deleterio perbenismo delle classi medie. Nessun limite, nessuna autocensura perché ogni scatto racconta per intero una storia, un incontro, uno scambio di umori corporali che può essere la storia di sesso tra un nero e una bionda molto in carne o un car-washing con poca schiuma e vista privilegiata sulle grazie di una deliziosa creatura. Assenti il glamour misterioso di un Helmut Newton (R.I.P.), il gesto istrionico di LaChapelle, i riverberi d’ombre di McBride, il noir (a tratti stucchevole) di Ray Krider. In termini più semplici: zero tecnica, molto punk nell’anima. Una spinta liberatoria che presto, dopo le prime prove da regista per i videoclip di Primal Scream (Svastika eyes), Jon Spencer Blues Explosion (Magical colors) e Death in Vegas (Aisha), dovrebbe portarlo a ultimare l’annunciato lungometraggio Son of a Bitch e che fin qui gli ha fatto meritare l’attenzione del Centro Culturale San Giorgio, il non plus ultra in materia di cacciatori di messaggi subliminali (fatevi due risate: http://www.ccsg.it/Sisley.htm ). Baciato dalla fortuna, inutile girarci troppo intorno. È Richardson stesso ad ammetterlo: essere figlio di quel Bob gli ha risparmiato la gavetta di molti altri e un destino comune a quello di una moltitudine di sciagurati segaioli dell’arte fotografica che sperperano patrimoni in sofisticate attrezzature e tristi workshop domenicali. La vita c’è davvero nei suoi scatti, persino in quelli realizzati su commissione. Attimi di ‘realè congelati infischiandosene delle regole, dei dettami del correct imperante. Volete qualcosa di forte e autenticamente sporco? Ecco a voi l’incorreggibile Terry!
Nise No Sul web: www.terryrichardson.com http://perso.club-internet.fr/yangabin/photographedemode/terryrichardson/terryrichardson.html |
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