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EL SHALATIN – BERKASH    ALTO EGITTO di Camilla Lai

All’orizzonte si vedono solo cammelli, fino a dove lo sguardo riesce a spingersi.

 

Innumerevoli gobbe, sfocate in lontananza da un sole troppo caldo, impediscono alla linea dell’orizzonte di seguire il suo naturale andamento, ne modificano i contorni e la distorcono. Quando un occhio schermato vede a fatica cosa è nascosto dietro il calore del sole, nota che è tutto alla stessa altezza: gli uomini, se in piedi, gli animali, i furgoncini che li trasportano, le casupole degli abitanti del villaggio, gli alberi battuti dal vento del deserto.

 

Shalatin, oltre 1600 chilometri al sud del Cairo, sulla costa,  è una piccola cittadina di frontiera, l’ultimo avamposto egiziano abitato prima del Sudan, al confine amministrativo - quello politico si trova dopo una settantina di chilometri. È da Shalatin che arrivano i migliori cammelli dal deserto orientale del Sahara, attraverso il Sudan, originari di Rau. Poi percorrono il triangolo d’oro di mercati di cammello dell’Egitto, sulla rotta Shalatin-Aswan-Berkash (una quarantina di chilometri a nord del Cairo). E da lì, possono arrivare fino alla Libia, al Marocco, da un lato, e a tutto il Golfo, per agghiaccianti corse ad Abu Dabi in cui come fantini vengono utilizzati, spesso, giovanissimi e leggeri bambini.

 

Le origini del mercato di cammelli, in Medio Oriente, si perdono ne Le mille e una notte. Oltre 1700 anni fa questi animali costituivano una dote preziosa, in matrimoni leggendari con donne dagli occhi dipinti. Ancora oggi, a Shalatin, i cammelli costituiscono un importante assetto patrimoniale del matrimonio: le invisibili donne di Shalatin, sposate, possiedono un cammello e mezzo. L’altra metà appartiene al marito, che però, in caso di divorzio, la perde e si vede costretto a lasciarla alla consorte che si occupa della gestione (e costruzione) della casa. Insomma, delle leggende antiche, nella Shalatin del 2002, è rimasto poco. Adesso è tutto un po’ meno romantico. I cammelli non attraversano nemmeno più il deserto per passare da un mercato all’altro, non sulle loro gambe, almeno. Vengono stipati in camionette più o meno grandi, coloratissime. Hanno una zampa legata, affinché non scappino nell’infinito deserto, che spesso li ostacola nel salire sulla vettura. Le loro urla sono indelebili. La maggior parte dei clienti sono macellai, esperti gazaar che ci svelano preziose ricette afrodisiache.

 

Pare che la zuppa di zampetta di cammello sia ottima ed esalti doti sessuali. Non solo: il latte dell’animale, se munto da un uomo, conferirebbe a chi lo beve incredibile potenza sessuale. Se l’animale è giovane (labany, da latte, o kasr goul, due anni), si fa a fette, coperto di spezie e poi alla griglia. Altrimenti, (kasr arba’, 4 anni, kasr sitta, 6, nab, oltre i 6, baqra labania, femmina da latte, e via dicendo …), la carne di cammello, tra l’altro ricca di ferro, viene macinata e spesso mischiata a carne di vitella nelle polpette di kofta  tanto amate da ignari turisti occidentali, convinti di mangiare ben altro. Esiste anche una pajata  locale, precisa Amr, un altro macellaio arrivato di buon ora per rifornire la bottega della merce migliore: riempita di riso e infornata. Squisita, sembra.

 

Al mercato dei cammelli di Shalatin si accede dall’ingresso posteriore dell’unico albergo della città di frontiera. Più che Alto Egitto, sembra Africa nera. Dal richiamo della moschea per la preghiera del mattino si passa senza soluzione di continuità a canzoncine nubiane dai ritmi caraibici. Per le strade del villaggio non si vede una donna che abbia più di cinque anni. Quando riusciamo a scorgerne qualcuna, che subito si nasconde dentro casa, vediamo vestiti coloratissimi, impossibili da trovare per le trafficate vie della capitale, pelli scure e veli solo appoggiati sulla testa coperta di trecce. Profumi, odori, colori e un sole che anche alle 7 del mattino è già troppo cocente. E una dilatazione di spazi e tempi che ci è difficile comprendere a pieno. Forse il lungo viaggio ci ha stancato. Forse passato il tropico del cancro, per qualche strano fenomeno fisico, dobbiamo aver viaggiato nel tempo anziché fra le dune del deserto. Perché sembra di essere piombati in una cittadina che doveva essere identica anche 600 anni fa.

 

Nell’enorme spazio aperto riempito dai cammelli (che tecnicamente sarebbero dromedari, ma qui non fanno differenza, anzi ci spiegano che il dromedario altro non è che un tipo di cammello, proveniente da regioni diverse e che corre più veloce) si formano gruppi di gente che contratta affannata e a voce altissima. Concitate trattative in arabo. Gli uomini indossano delle lunghe tuniche (galabeya), con sopra dei gilet pieni di tasche dove tengono soldi, carte e una strana sostanza, impasto di un erba con proprietà anfetaminiche, che masticano per placare il nervosismo. Metri di stoffa vengono arrotolati in testa con perizia, a mo’ di turbanti, per proteggersi dal sole.

 

Ali viene dalla capitale. Si vede subito che è un commerciante ricco: il turbante è pulito, lindo, bianco. Ha preso un volo interno, non ha tracce della sabbia del deserto. Ci spiega che commerciare in cammelli è un’attività assai redditizia: “Io compro qui all’ingrosso. Un buon cammello può costare dalle 1.000 alle 2.000 guineé (circa 200 e 500 euro, ndr). Al Cairo li rivendo fino a 4 o 5000 guineé (circa 1.250 euro)”. Ma non può dirci quanti cammelli intende comprare oggi. Rovinerebbe ogni contrattazione in partenza.

 

In realtà, quando ci avventuriamo nel mercato di Berkash, vicino la capitale per verificare la levitazione dei prezzi, scopriamo che il “buon cammello” a cui si riferiva Ali, può arrivare a costare fino alle 10 mila guineé (2.500 euro). Quelli migliori, sostiene Ayman, che vuole a tutti i costi una foto abbracciato al suo animale preferito, sono i balladi, letteralmente “i locali”, perché hanno la fortuna di mangiare erba fresca, delle speciali erbe aromatiche che crescono intorno alle rive del Nilo. I somali arrivano in nave dal Corno d’Africa, provati dal lungo viaggio. Quanto ai bishari e i sudani (quelli che abbiamo visto a Shalatin), sono più selvaggi e vengono utilizzati prevalentemente come cibo.

 

I cammelli si vendono a peso. Affascinati, chiediamo dov’è la grande bilancia. “Te lo dico io quanto pesa”, scoppia a ridere Halim Ramadan. “Si va a occhio”. Occhi esperti, che identificano anche gli etti, quasi i grammi della pelliccia. I maschi costano di più.

 

A Shalatin ci saranno oltre duemila cammelli. A Berkash ancora di più. Ma sono stime improvvisate, nessuno riesce a dirlo con certezza. In una settimana se ne vendono circa 200. Anche se adesso è la stagione della mietitura, e i clienti scarseggiano. In tempi fortunati, ci assicurano, si può arrivare anche a 8 o 10 mila. Chiediamo a un gazaar quanti cammelli compra in genere. Sorride: “Dipende da quanto lavora il coltello”.

 

È la tribù dei Rashayda a controllarne il commercio, gli arrivi e le partenze da Shalatin. Nomadi e privi di cittadinanza egiziana, sono circa 2 o 300 famiglie, stanziate a circa 4 chilometri da Shalatin. Sono gli unici che possono andare avanti e indietro attraverso la frontiera con il Sudan senza necessità di visti o anche documenti. Negli anni, si sono talmente affermati, economicamente, nel business dei cammelli, che ora appaltano l’attività del trasporto per gli altri mercati dell’Egitto alla tribù dei Bashaira, da cui il nome di un tipo di cammelli.

 

In perfetta sintonia con questi buffi e affascinanti animali, i Rashayda sono altrettanto nobili e orgogliosi. Ci salutano affettuosamente: “Non capita spesso di vedere bianchi da queste parti. Tornate a trovarci”. I cammelli sbattono le lunghe ciglia, pronti ad affrontare il loro fato.