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MATAR |
CAIRO, 22 gennaio 2003 Ieri sera è piovuto. Non è una novità, dato che siamo in inverno. Meglio: non è una novità per chi legge. Dati gli stereotipi dei vari turisti più o meno alpitùr che ogni anno si recano a Sharm el Sheikh e Hurghada e tornano raccontando di temperature superestive, mi duole precisare che siamo sì nel continente africano ma a nord del Sahara. Se d’estate si raggiungono facilmente i 52 gradi all’ombra, un paio di mesi all’anno (dicembre e gennaio) fa freddo. Un massimo, per quel che mi riguarda, di 5 gradi. Ma che senza riscaldamenti nelle case, assicuro, pesano. Ciò premesso, ieri sera è piovuto. E questa, qui, è una novità. Quando arrivai mi dissero che piove 3 giorni all’anno. Ricordo che risi, felice. Odio essere bagnata, almeno sui vestiti. Bastarono soli 10 mesi in Egitto per farmi rimanere sveglia una notte intera, a Torino, a vedere e ascoltare la pioggia che scrosciava senza sosta, il cielo illuminato dai lampi, il fango, le pozzanghere. Adesso, riassaporo l’odore dell’asfalto dopo che è piovuto. Un odore così forte da diventare sapore. E farti dimenticare il resto. Appunto, la pioggia, qui, è un evento. Stamani le radio trasmettevano ogni possibile canzone che ne parlasse, quasi a lodarla, celebrarla, in ogni caso, parlarne. canzoni degli anni ’60, arabe, statunitensi, tutto. Purché inneggiasse all’acqua. La pioggia è stato ovviamente l’argomento dell’intero giorno, lavorativo e non. Se ne parla nei meeting ufficiali, nelle cene private, per strada. È la prima cosa che si dice: "Ciao, stanotte pioveva, hai sentito?" Quando invece i terremoti passano senza alcun clamore, se si è fortunati senza nemmeno accorgersene. Ma con la pioggia di ieri, finalmente, una delle megalopoli più grandi del mondo aveva riacquistato i colori, si era lavata della sabbia del deserto che la vela tutti i giorni, come velate sono le sue donne. Che ne copre le foglie degli alberi, i balconi, i panni stesi, i cartelloni pubblicitari. La pioggia aveva lavato tutto. CL |
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