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PASOLINI 75-05 di Nino G. D’Attis |
A modo nostro, senza frasi fatte né parole di circostanza, un omaggio a Pier Paolo Pasolini nel trentennale della scomparsa. A modo nostro – e con molta emozione - perché ci siamo interrogati a lungo sulla maniera di scrivere qualcosa di diverso da ciò che sta vedendo la luce in questi giorni su altre testate e alla fine, una volta di più siamo stati d’accordo con Francesco De Gregori quando sostiene che “non si deve parlare di Pasolini solo in termini di assenza perché Pasolini è caparbiamente presente nella società di oggi, malgrado ogni esorcismo ed ogni censura”. Ecco allora un montaggio di frasi di e su Pier Paolo, in buona parte già note a chi, trent’anni dopo i tragici eventi all’Idroscalo di Ostia, non ha smesso di sentire vivo il suo pensiero. Un unico link fondamentale: www.pasolini.net e una piccola curiosità: alcuni stralci ivi recuperati arrivano dagli appunti per un documentario mai realizzato, un progetto che risale al biennio 1996-97 e che avrei dovuto girare insieme al mio amico Vincenzo Assante. L’idea era quella di scendere in strada con un’agilissima (ed economica) handycam, fermare gente a caso e mettere queste frasi in bocca a vecchi, giovani, bambini. Un grazie speciale a Vincenzo, per tutte le ore trascorse insieme a covare quel film.
“Non li toccate quei diciotto sassi che fanno aiuola con a capo issata la «spalliera» di Cristo. I fiori, sì, quando saranno secchi, quelli toglieteli, ma la «spalliera», povera e sovrana, e quei diciotto irregolari sassi, messi a difesa di una voce altissima, non li togliete più! Penserà il vento a levigarli, per addolcirne gli angoli pungenti; penserà il sole a renderli cocenti, arroventati come il suo pensiero; cadrà la pioggia e li farà lucenti, come la luce delle sue parole; penserà la «spalliera» a darci ancora la fede e la speranza in Cristo povero.” (Eduardo, Pier Paolo, 1975)
“A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né i consigli di amministrazione, né la spranga per depredarci.” (P.P.P., Stampa Sera, 3 novembre 1975, Intervista a Pasolini di Furio Colombo)
“L’Italia – e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: «contaminazioni» tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di «raptus»: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti.” (P.P.P., Lettere luterane, Torino, Einaudi, 1976)
“Il mio pessimismo mi spinge a vedere un futuro nero, intollerabile a uno sguardo umanistico, dominato da un neo-imperialismo dalle forme in realtà imprevedibili.” (P.P.P., Vie Nuove, 15/10/1964)
“Ho visto alla televisione per qualche istante la sala in cui erano riuniti in consiglio i potenti democristiani che da circa trent’anni ci governano. Dalle bocche di quei vecchi uomini, ossessivamente uguali a se stessi, non usciva una sola parola che avesse qualche relazione con ciò che noi viviamo e conosciamo. Sembravano dei ricoverati che da trent’anni abitassero un universo concentrazionario: c’era qualcosa di morto anche nella loro stessa autorità, il cui sentimento, comunque, spirava ancora dai loro corpi.” (P.P.P., 18/02/1975: articolo per il Corriere della Sera dal titolo Gli insostituibili Nixon italiani)
“CURVAL: «Ma Dio non equivale forse a potere?» BLANGIS: «Sì, ma per coloro che credono che il potere sia appunto ordine»” (dalla sceneggiatura del film Salò o le centoventi giornate di Sodoma, 1975)
Credo che Pasolini volesse dare alla parola "anarchia" – intesa come "disordine", come caos un senso dispregiativo. L’anarchia in quanto fine politico è un’utopia, mentre di solito quando si parla di "realtà anarchica" ci si riferisce a una situazione negativa di confusione estrema. Penso che lui intendesse dire questo: è la condanna del Potere come legge del più forte.” (Dacia Maraini, in AA.VV., Dedicato a Pier Paolo Pasolini, Milano, Gammalibri, 1976)
“Dove vanno gli uomini? Saranno nel futuro comunisti o no? Mah! Probabilmente non saranno né comunisti né non comunisti…Essi andranno, andranno avanti, nel loro immenso futuro, prendendo dall’ideologia comunista quel tanto che può esser loro utile, nell’immensa complessità e confusione del loro andare avanti…” (P.P.P., Uccellacci e uccellini)
“Nel progettare e nel cominciare a scrivere il mio romanzo, io in effetti ho attuato qualcos'altro che progettare e scrivere il mio romanzo: io ho cioè organizzato in me il senso o la funzione della realtà; e una volta che ho organizzato il senso e la funzione della realtà, io ho cercato di impadronirmi della realtà. […]” (P.P.P., Petrolio, appunto 99 p. 419, Torino, Einaudi, 1992)
“Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta.” (P.P.P., Scritti corsari, Milano, Garzanti 1975)
“Idiota! Cercarmi dei seguaci, inventarmi una cerchia? Io non credo nell’esistenza del tuo mondo, dove si cercano seguaci, dove s’inventano cerchie. Sei un cadavere: e mi credi con te in una tomba.” (P.P.P., A Costanzo, in Bestemmia 1, Milano, Garzanti, 1999, p.545)
“Il messaggio di Warhol per un intellettuale europeo è una entità sclerotica dell’universo, in cui l’unica libertà è quella dell’artista, che, sostanzialmente disprezzandolo, gioca con esso.” (P.P.P., Presentazione per la mostra di Andy Warhol a Ferrara, Palazzo dei Diamanti, ottobre 1975, ora in Saggi sulla letteratura e sull’arte, Tomo II, Milano, Meridiani Mondadori, 1999)
“L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo.” (P.P.P., Vie Nuove n. 36, 6 settembre 1962)
“[…] il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l'omologazione brutalmente totalitaria del mondo.” (P.P.P., Scritti corsari, cit.)
“Io sto benissimo nel mondo, lo trovo meraviglioso, mi sento attrezzato alla vita, come un gatto. È la società borghese che non mi piace. È la degenerazione della vita del mondo. Hitler è stato il tipico prodotto della piccola borghesia. Anche Stalin è un prodotto piccolo-borghese.” (P.P.P., intervista a La Stampa, 12/07/1968)
“Negli ultimi film l’aiuto-operatore, quello che sta attaccato alla macchina da presa, Pier Paolo non ce l’aveva perché lo faceva direttamente lui. Si prendeva la macchina e girava lui. Ci aveva una carica, un entusiasmo per certe scene che non se le voleva lasciar sfuggire, che «pronti pronti, dai, giriamo!» e gli altri: «Ma Pier Paolo, non c’è la pellicola!». «Non fa niente, non fa niente!» Questo è successo, che preso dall’entusiasmo si è buttato a girare una scena, un panorama senza che nella macchina ci fosse la pellicola, e noi glielo gridavamo ma lui continuava lo stesso!” (Ninetto Davoli, in Franca Faldini-Goffredo Fofi: Il Cinema italiano d’oggi 1970-1984, Milano, Mondadori, 1984, p.8)
“Sei così ipocrita, che come l’ipocrisia ti avrà ucciso, sarai all’inferno, e ti crederai in paradiso.” (P.P.P., A G. L. Rondi, in Bestemmia 1, cit., p. 551)
“Quando si girava con Pier Paolo non c’erano problemi di umore, semmai ero io quello più scorbutico, perché quando girava non si rendeva neanche conto delle difficoltà che uno aveva a organizzargli il set. Doveva finire sempre il più presto possibile la lavorazione più lunga, di otto-nove settimane, è stata quella delle Mille e una notte. Aveva fretta, e metteva un’ansia addosso, cominciava alle otto di mattina e finiva con la luce, con Tonino Delli Colli che reclamava.” (Umberto Angelucci, in Franca Faldini-Goffredo Fofi: Il Cinema italiano d’oggi 1970-1984, cit.)
“Penso dei comunisti da salotto ciò che penso del salotto. Merda.” (P.P.P., Saggi sulla politica e sulla società, cit.)
“Era un periodo veramente felice per lui, felice felice felice. Voleva mettersi a dipingere, preparava un romanzo fiume, voleva fare un altro film a poca distanza, con Eduardo e Ninetto come protagonisti, e anch’io in una parte di cattivissima, era un fuoco d’artificio di progetti.” (Laura Betti, in Franca Faldini-Goffredo Fofi: Il Cinema italiano d’oggi 1970-1984, cit.)
“Per me la vita si può manifestare egregiamente nel coraggio di svelare ai nuovi figli ciò che io veramente sento verso di loro. La vita consiste prima di tutto nell'imperterrito esercizio della ragione: non certo nei partiti presi, e tanto meno nel partito preso della vita, che è puro qualunquismo. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà.” (P.P.P., Lettere luterane, cit.)
“Non sono un pacifista per natura, ma per elezione.” (P.P.P., Saggi sulla politica e sulla società, cit.)
“Credo nella concretezza di un rapporto tra chi fa e chi fruisce o riceve, tra scrittore e lettore. Si tratta di un rapporto tra un individuo e un secondo individuo; è il tipo di rapporto in cui ancora credo…Forse credo in qualcosa che sta per finire.” (P.P.P., in Take One, maggio-giugno 1973)
“Non mi ricordo se c'era la luna E né che occhi aveva il ragazzo Ma mi ricordo quel sapore in gola E l'odore del mare come uno schiaffo A Pa' C'era Roma così lontana E c'era Roma così vicina E c'era quella luce che ti chiama Come una stella mattutina A Pa' A Pa' Tutto passa, il resto va E voglio vivere come il giglio nei campi Come gli uccelli del cielo campare E voglio vivere come i gigli dei campi E sopra i gigli dei campi volare.” (Francesco De Gregori, A Pa’)
“Ogni religione formale, nel senso che la sua istituzione è diventata ufficiale, non solo non è necessaria per migliorare il mondo, ma addirittura lo peggiora.” (P.P.P., Saggi sulla politica e sulla società, cit.)
“Io penso che dare scandalo sia un diritto, essere scandalizzati un piacere e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato un moralista.” (P.P.P., intervista al secondo canale della tv francese, 31/10/1975)
“Ho sempre avuto paura per lui, come fosse un’ombra che può dissolversi da un momento all’altro o venire calpestata dai piedi ignari e crudeli dei passanti.” (Pietro Citati, Corriere della Sera, 3/11/1975)
“Non possiamo sapere cosa avrebbe ancora scritto e fatto Pasolini. Certo per lui stava per cominciare una nuova fase, una nuova scoperta del mondo. Sembra verosimile che dopo il trauma e la delusione di cui sono diretta espressione tanti articoli recenti e, soprattutto, il suo ultimo film Salò o le centoventi giornate di Sodoma, egli sarebbe riuscito a sormontare l’agghiacciante constatazione del "mutamento antropologico" causato dal consumismo, nel solo modo possibile per un artista: con la rappresentazione del mutamento stesso. Una rappresentazione che, per forze di cose, avrebbe portato ad un superamento positivo dell’attuale momento pessimista.” (Alberto Moravia)
“L'assessore alla cultura Gianni Borgna ha espresso oggi la decisa volonta' del Campidoglio di far riaprire l'inchiesta sulla morte di Pasolini. Dopo l'archiviazione del caso da parte della procura di Roma il 13 settembre, l'assessore, dopo aver manifestato le sue riserve sulla veridicita' delle affermazioni di Pino Pelosi, ha aggiunto che ci sono testimonianze inedite, che il Campidoglio ha raccolto, come quella di Sergio Citti, 'che nessun tribunale ha mai ascoltato'.” (ANSA, Roma, 21/10/2005)
“Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l’erba, la gioventù. L’amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro.” (P.P.P., in Luciano De Giusti: Il Cinema in forma di poesia, Pordenone, Cinemazero, 1979)
“Quando scriveva, per Pier Paolo era sempre una grande sofferenza. All’ultimo però aveva un po’ di filosofia, aveva capito che era inutile, ormai. Io Pier Paolo, che lo conoscevo da tanti anni, non l’ho mai visto così felice e che amava la vita come l’amava prima di morire. Il contrario del fatto che tutti ‘sti uccellacci che gli girano intorno, tutti ‘sti becchini, che dicono che lui voleva morire. Non è vero per niente. Assolutamente. Mo’ ne stiamo a parla’ da amici, ma la gente che viene da me e me domanda, che so, se Pier Paolo era cattolico, era cristiano, era marxista, ma che pretendono? Che con due stronzate che dico io, devi capi’ Pasolini? Loro pretendono di capi’ Pasolini così, da due stronzate che posso dirgli io, e questo è un fatto disonesto, perché lui aveva detto tutto e scritto tutto. E lo accettano adesso che non c’è più, prima che era vivo non lo accettavano, e non si domandano che avrebbe detto Pasolini adesso.” (Sergio Citti, in Franca Faldini-Goffredo Fofi: Il Cinema italiano d’oggi 1970-1984, cit.) |
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