La
notizia dell’esordio nella narrativa di Andrea Piva, sceneggiatore de
Lacapagira e del bellissimo Mio Cognato, sommata alle prime
indiscrezioni sulla trama del romanzo, mi aveva fatto ben sperare: giovane
assistente universitario di Filosofia del Diritto all’università di Bari.
Droga e sesso (in cambio di favori alle sessioni d’esame); note in quarta di
copertina (scritte dal solito editor gasato):
“Sulfureo, impietoso, classico, questo
romanzo febbrile, scritto con superba padronanza di stile, ci parla senza
censure di un mondo dove ogni spinta diversa dal puro arricchimento è
considerata alla stregua di inutile romanticheria (...)”.
E che dire del titolo ad effetto? Tutto sbagliato, chiariamo subito questa
cosa per evitare ulteriori fraintendimenti: l’esito non coincide di certo
con le promesse strillate sulla confezione.
Il
libro comincia con una giornata tipo di Ugo Cenci: il professor Frappelle,
titolare della cattedra, lo cerca al telefono mentre lui inganna il tempo
palpeggiando una bellezza raccomandata. Fin qui tutto bene: c’è un
potenziale bastardo che a pagina 12 viene messo sul chi vive (“Be’,
dottor Cenci, anzi: Ugo, parliamoci chiaramente. Si dice che tu mercanteggi
i voti in cambio di favori sessuali.”)
e ci sarebbe materiale a sufficienza per scomodare i nomi di Philip Roth e
Jonathan Franzen. Poco più avanti (non tanto, purtroppo), la storia prende
una tangente diversa, si assesta sui toni della commedia senza avventurarsi
troppo oltre i rassicuranti confini del senso comune. Rinuncia insomma a
farsi satira, spaccato di un tricolore idiota e sinistro che la letteratura,
se non fosse nelle mani di esperti di tecniche di vendita, dovrebbe pur
arrischiarsi a mettere in luce (e mica possiamo morire sommersi dal ciarpame
di gialletti educati con commissari in pantofole!). In fondo
Ugo Cenci è un bravo ragazzo, un ribelle
moderato (che ossimoro!), uno che incontra in spiaggia un Culo Parlante e se
ne innamora perdutamente. La cocaina? Lapo l’ha sdoganata, e poi il fumo è
roba da spleen adolescenziale, non risolleva l’animo dai mali amorosi
dell’età adulta.
Sarò fatto male, non dico di no. Sono un lettore che pretende troppo,
soprattutto da un’Italia che, quando scrive e pubblica, ben di rado riflette
criticamente su se stessa. Non c’è zolfo né cinismo, più spesso ci troviamo
davanti agli occhi operine generazionali, malinconia ai tramonti di terza
mano, autoreferenzialità mortificante. Tutto qui, davvero. E le cinquantenni
con borsetta Prada e barboncino al guinzaglio comprano a pacchi libri “Non
troppo cruenti, mi raccomando, signorina. Qualcosa sulla scia dell’Ammaniti
più addomesticato!” Le professoresse delle superiori meriterebbero un premio
letterario tutto per loro: sono la spina dorsale delle nostre classifiche di
vendita, le migliori alleate dei Moccia, delle Mazzantini, dei
De Carlo (nell’orrendo squadrone ora c’è anche
Veltroni, il sindaco scrittore, il politico amico delle arti, il re della
KURTURA DE NOANTRI!!!).
Apocalisse da camera è un racconto carino, ben scritto (con l’uso della
terza persona che mette premurosamente al riparo autore e lettori dalle
invero futili trasgressioni del protagonista), espanso fino alla forma
romanzo ora attraverso l’impiego di trovate divertenti (l’incontro notturno
con Culo Parlante che finisce in dramma della schizofrenia; i preparativi in
vista dell’orgetta con due studentesse), ora mediante lunghe, tediosissime
riflessioni di Cenci Ugo sui suoi dolori (l’amore vero che latita, i morbosi
legami di famiglia, la gioventù che passa). Il ritmo, quello sì, è
impeccabile. Ma sarebbe come salvare un film (dal finale oltretutto
prevedibile) elogiandone il montaggio.
Piva viene dal cinema (anzi: dal miglior cinema realizzato in questo Paese
nell’ultimo decennio), ed è un vero peccato che non riesca ad aggiungere
niente ad una produzione letteraria che, salvo rare eccezioni, si compiace
sempre più di essere prodotto medio, provocazione annunciata e mai
mantenuta, avvilente flettersi su formule consolidate. Il suo romanzo
migliore è lo script di Mio Cognato:
storia forte, commedia che sfocia nel nero assoluto, portata sullo schermo
dal fratello Alessandro e interpretata da Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio.
(J.R.D.)
Intervista ad Andrea Piva |