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multh’am

Ne La mia Africa, Karen Blixen spiega come il viaggiatore assume un’umilta’ culturale che non necessariamente appartiene al suo carattere nel paese di origine. Una sorta di immediato e automatico rispetto per la cultura che non si conosce. Il tono di voce cambia, si addolcisce. Le parole usate sono scelte con cura, per non offendere l’altro ove non si č sicuri di farlo. Il tutto, forse, anche per difendersi da regole che non si conoscono e spesso non si comprendono.

Il Papillon č uno dei ristoranti libanesi piů rinomati del Cairo.

Qualche sera fa, le conversazioni procedevano pacate in varie lingue spizzicando hummos, tahina e babaaganush, accompagnate dalle dolci note dell’oude (strumento a corde arabo). L’atmosfera tranquilla č stata improvvisamente interrotta da tre figure che hanno fatto irruzione nella sala. I commensali sono rimasti sgomenti. Negli occhi di qualcuno si leggeva puro terrore. Non era possibile verificare chi fossero esattamente i nuovi arrivati, nč se fossero uomini o donne. I loro volti erano completamente coperti da kefie avvolte a mo’ di turbante. Si vedevano solo gli occhi.

Non serve essere arabi o musulmani per sapere che i feddayn palestinesi, i militanti di Hamas, Fatah, gli Hezbollah libanesi indossano il multh’am per non essere identificati quando compiono un attacco, o resistono all’occupazione lanciando pietre. Non desta sopresa, pertanto,che alcuni fra i commensali fossero letteralmente in preda al panico. Ma la tensione si č sciolta presto quando, ridendo sguaiatamente come solo gli statunitensi riescono a fare, gli strani personaggi si sono presentati come tre donne americane. Il crollo economico che la mancanza di turismo ha portato, non ha permesso al proprietario del ristorante di vietare l’ingresso ai tre misteriosi clienti. Nč č stato loro imposto di scoprire il volto, cosa che hanno fatto spontaneamente solo quando hanno ritenuto che fosse giunto il momento di porre fine allo scherzo.

Evidentemente, le tre donne statunitensi non hanno letto La mia Africa.

O piů probabilmente appartengono alla categoria dei turisti e non dei viaggiatori. Non ci si aspetta grande cultura dai turisti. E credere che gli americani, cresciuti in un’isola priva di alcun relativismo culturale, possano assumere un atteggiamento di umilta’ vorrebbe dire peccare di ingenuita’. Ma il rispetto, almeno quello, dovrebbe essere la prima cosa da mettere in valigia, se si cerca un pur minimo scambio.

Rispetto per le nuove culture che si va a conoscere. Per le donne arabe presenti al ristorante, nessuna delle quali indossava il velo. E per i propri connazionali, finiti sotto le macerie delle torri gemelle.