Sta cercando di
insegnare al suo amico come passare da una verticale sulla testa,
sollevandosi sulle mani appoggiate vicino alle orecchie, in ponte. Ma il
suo amichetto proprio non ci riesce. Le gambe della verticale si
ostinano a non proseguire il percorso nell'altra direzione. O stanno lì
o scendono dallo stesso lato da dove sono salite.
E giù risa.
La
sala della preghiera della moschea degli Omayadi offre un gradevole
riparo dal cocente sole di un pomeriggio di luglio passato a perdersi
per vicoli di Damasco vecchia.
Si dice che questa
moschea, sunnita, sia al secondo posto, in ordine di santità,
dopo quelle di Medina e La Mecca, e Al Quds, o Gerusalemme.
Personalmente mi sembra il quarto posto. Ma non è importante, non per
qualificare la santità.
Se lo è la grandezza, ci siamo: 157 metri per 97, 4 porte, la cupola
della sala della preghiera alta oltre 45 metri. Il cortile è l'unico
punto della città vecchia da cui si possono ammirare i 3 minareti, belli
e lavorati ma bassi, almeno, non alti come quelli turchi del Cairo. In
uno pare ci apparirà Gesù nel giorno del giudizio. Su una delle
facciate, resti di mosaici bizantini in oro brillano al sole.
Ma basta una
frazione di secondo nel cortile per capire che neanche la grandezza
determina il grado di santità.
Forse il luogo? La
moschea fu fatta costruire dal califfo omayde al Walid ben Abdul Malek
nel 705 dc, sui resti di una struttura presente dal nono secolo ac,
prima come tempio del dio Hadad, poi di Giove, infine come basilica
cristiana dedicata a San Giovanni Battista. La leggenda narra che ci
vollero dieci anni e oltre mille artigiani per aggiornare la costruzione
alla nuova spiritualità trovata. Alla fine, oltre 600 lampadari d'oro
illuminavano la sala di preghiera. Incendi, terremoti, saccheggi di
vandali, possono avere col tempo danneggiato
il lusso. Ma certo
non hanno potuto nemmeno scalfire l'immateriale santità.
Quanto alle
reliquie – la presunta testa di San Giovanni Battista, anche detto
giano, se è sua anche la testa riposta in un simile mausoleo in
Egitto – o alla garantita presenza divina hic et nunc nel giorno
del giudizio, nessuno dei due fattori serve all'indagine. Sono piuttosto
delle conseguenze logiche, entrambi, di un concetto di santità già
recepito. Forse Gesù davvero deciderà di andare a Damasco il giorno del
giudizio (chi potrebbe biasimarlo? io interromperei il racconto se
potessi andarci subito), ma non renderà, per questo, santa, la moschea
degli omayadi, che evidentemente, se lui va lì, già lo è.
Santo, sacro,
morale, etico, giusto. Dal reame delle idee, attraverso il ponte dei
giudizi, fino alla politica più quotidiana. Il bene, i cattivi, le
alleanze del male, sono ora nei servizi di ogni giornalista, escono |
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dai frigoriferi di
chiunque si informi di cosa succede oltre la propria camera da letto,
anche di tutti quelli che ci hanno rinunciato. Hanno autorizzato
bombardamenti e altri ancora ne permetteranno. Come è sempre stato.
Per nascondere
l'incapacità di ammettere i propri sbagli e porci interessi. Per non
volersi fermare a capire nemmeno un attimo in più. Guardare senza
vedere, ascoltare senza sentire, ingurgitare stereotipi già confezionati
in comode dimensioni tascabili, senza la minima opposizione.
“Mi spieghi una
cosa? - mi chiede Amir, alla Jabir house – è colpa nostra? Che abbiamo
fatto di sbagliato perché voi capiste così male?' Balbetto veloce la
parola ignoranza, per rassicurarlo. Poi mi ammutolisco. Sappiamo
perfettamente entrambi di cosa stiamo parlando. Le due righe di
conversazione precedente recitavano così: 'qual è la tua opinione?' 'su
che?' 'della regione' 'che in 7 mesi e mezzo in medio oriente non ho
visto né toccato niente di quello che pensavo avrei trovato'.
Ignoranza
è sinonimo (o dovrebbe esserlo) di chiusura mentale. Il medio oriente è
così vicino all'Europa che ha pochi corrispondenti fissi - se si esclude
Gerusalemme. I reporter arrivano copiosi per l'evento specifico. Poi
ritornano. In frazioni di esperienza, pur ripetute, non si possono che
apprendere, alla meglio, frazioni di vita.
La fretta, dal
canto suo, è un ostacolo alla comprensione. Se non mi fossi seduta
all'ombra del lavabo del cortile, non mi sarei mai fermata a ricordare
che quando mia nonna mi mandava a messa, per abituarmi a un qualche
concetto di moralità e corrispondente santità, la domenica mattina, ero
sempre svogliata. Sono certa che se mi avessero detto 'lavati,
preparati, è ora di andare in moschea', un giorno qualsiasi, ma
soprattutto un venerdì d'estate, avrei fatto i salti di gioia.
I
bambini che correvano nel cortile sprizzavano felicità da tutti i pori.
Urlavano, ridevano, liberi dal traffico, dai banchi affollati dei suq.
Tentavano addirittura di giocare a nascondino, cosa non facile in uno
spazio aperto come il cortile della moschea in questione. Giusto
accucciati dietro il lavatoio ci si poteva nascondere, per correre
all'antica lampada che una volta illuminava il posto e che ora fa da
tana. Insha'allah, tana-libera-tutti.
Liberi da
preconcetti che si spiegano che santo è il silenzio, la reverenza,
piegare il capo e recitare omelie, inginocchiarsi e fare penitenza.
Soprattutto, liberi di fermarci, capire, dialogare anziché uccidere.
camilla lai
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