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ULTIMATES 13 |
La continuity originale (Millar/Hitch) è ormai persa nei rimasugli della memoria, e ad aprire e chiudere questo numero troviamo due miniserie: l’atto finale de I sei (Bendis), e il primo capitolo di Incubo (scritto da Warren Ellis).
I SEI (parte 4) Harry: Papà...Papà Goblin: Harry? Spiderman: Oh mio Dio...Harry... Harry: Mi hanno detto di dirti....Che devi fermarti. Devi fermarti. CONTINUA!
Terminava così il numero dodici, in uno di quei sospesi narrativi che davano adito alla propria immaginazione di svolazzare attraverso le ali della fantasia. Ora (dopo l’agognata uscita), bisogna ammettere che è un albo incapace di sorprendere ed andare oltre quello che il nostro pensiero, un paio di mesi fa, era stato capace di immaginare. Per la verità non erano ipotesi così originali, e per questo, lo scotto brucia. L’entrata in scena di Harry poteva indirizzare la miniserie verso una toccante catarsi emotiva, verso uno di quei vortici psicologici che solo Bendis sa creare, ma l’autore sceglie una strada che definire scontata è dire poco. Nella storia della narrativa quando il cattivo si ritrova accerchiato dai “buoni”, ha pochi secondi per riflettere su stesso e determinare il proprio destino, e, di solito, tale riflessione è guidata da una figura (la cui presenza è opzionale) che tenta di mediare tra le parti contrapposte, in pratica, una sorta di ponte tra il bene ed il male (nel fumetto in questione la figura mediatrice è naturalmente rappresentata da Harry). Ora, quando una storia arriva a questo punto, si può dare sfogo alla propria inventiva o attingere alle tre soluzioni stereotipate per eccellenza:
Naturalmente non è un delitto optare per uno dei tre stereotipi, ma è grave non agire all’interno di questi con la dovuta originalità. Ricordate il finale di Un mondo perfetto? In quella occasione Clint Eastwood (come Bendis) scelse la terza soluzione. Un gesto con la mano di Kevin Costner viene interpretato dalla polizia come un tentativo di estrarre la pistola, e quindi BANG! Il “cattivo” muore. In precedenza però, dei dialoghi sopraffini e di forte impatto emotivo avevano trasformato il confronto tra il rapinatore e la sua vittima, in un simbolico rapporto tra padre e figlio. Eastwood aggiornò lo stereotipo agendo su di esso, Bendis, limitandosi ad eseguire il compitino senza affondare la penna nelle psicologie dei personaggi, ha confezionato un finale banalmente stereotipato. È un difetto questo, che rende la conclusione de I sei un albo poco interessante, una mezz’ora di lettura non necessaria, e nulla può la definitiva e coraggiosa caratterizzazione di Capitan America che da patriota incallito, si trasforma in una figura capace di mettere in dubbio le reali motivazioni che spingono il proprio paese ad iniziare una guerra. Nulla può, perchè l’albo conclusivo de I sei (a differenza dei precedenti) è una cocente delusione.
INCUBO (parte 1)
È il debutto di Warren Ellis (l’acclamato autore di Authority e Planetary) nel mondo Ultimate, ed è un esordio con i fiocchi. È solo l’inizio ed è presto per giudicare la validità di questa miniserie, ma le premesse vi sono tutte. Ellis apre a nuovi mondi e nuove dimensioni del pensiero, gioca con il tempo (inizia la storia nel 1904 e, passando per il 1927, approda al 2004), scherza con la realtà agendo su di essa attraverso (forse?) il mondo dei sogni e mette in scena pagine che, segnate da una inquietante disperazione, risultano inusuali per i commerciali fumetti Marvel. Lo sappiamo, Ellis è un maestro nel fondere diversi influssi letterari e tematici in un unicum narrativo, e difatti, le porte aperte da questo primo albo sono tante e di diversa natura. Perchè i ragazzi sono spinti al suicidio? Il sogno comune di Jean e Xavier in che misura è legato alla realtà? È davvero il grido d’aiuto di un nuovo mutante? Se Nick Fury parla di sospette intrusioni nelle trasmissioni radio-televisive, allora è tutto vero? Che ruolo avrà Falcon? Se Ellis riuscirà a governare la variegata materia narrativa messa sul piatto, lo vedremo, ma la vera speranza è che eviti accuratamente di relegare nella dimensione onirica tutti quegli aspetti, non propriamente marveliani, sui quali sembrerebbe stia costruendo questa storia vagamente horror. È un punto questo, che permetterà di capire in che misura la destinazione commerciale dei fumetti Marvel, incide sulla libertà creativa degli scrittori, ma anche, in che modo il talento di quest’ultimi può suffragare talune restrizioni. Come né I Sei, anche in Incubo ammiriamo con piacere le matite di Trevor Hairsine, qualcuno lo critica, ma se il buongiorno si vede dal mattino, ho il sospetto che fra un paio d’anni.....Bon voyage super-lettori.
Davide Catallo |
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