Se fossi un
critico serio e adulto con la barba sale e
pepe, il completo gessato, la Jaguar in garage e pile di libri mai letti intorno al letto, parlerei male
di Aldo Nove. Gli stroncherei tutti i romanzi, i racconti, le poesie in
blocco o a dispense, lanciando così un’originale collana di stroncature da
acquistare quindicinalmente in edicola e da raccogliere alla fine in
un’elegante serie di volumi dal titolo Il Nove a pezzi. Poi chiamerei
a casa la mia vittima nel cuore della notte e con un tono da critico serio,
adulto, barba sale e pepe, completo gessato, Jaguar, etc. direi: «Antonello
Tarcisio Satta Centanin, in arte Aldo 9, sei uno stronzo!» E scoppierei a
piangere, davvero. Gli direi che in realtà i suoi libri mi piacciono tutti (Ok,
Amore mio infinito un po’ meno), inclusa la raccolta di poesie
Fuoco su Babilonia! (Crocetti Editore, 2003), compreso l’ultimo che
io, non essendo un critico serio e adulto non posso fare a meno di
consigliare a uomini, donne, omosex, grandi e piccini, ma soprattutto ad
eterni bambini. Anche se A.T.S. Centanin (aka Aldo 9), nato a Varese il 12
luglio 1967 resta sempre uno stronzo, ci mancherebbe. Uno che sembra pacioso
e alla mano, invece è una carogna quanto il suo amico
Tiziano Scarpa.
Esagero: forse di più. Uno che se provi a chiedergli di fare due chiacchere
risponde: «Ho l’influenza». Se dici "intervista" fa: «Magari ci sentiamo più
avanti, ti lascio la mia e-mail». E naturalmente l’e-mail è finta come il
sorriso di un premier ossessionato dalla minaccia comunista e lui, cascasse
il mondo, non si farà mai vivo con te. Forse perché si è laureato in
filosofia morale con una tesi su
Antonio Labriola. Forse
perché è stato redattore della rivista Poesia, poi ospite del
Maurizio Costanzo Show, adesso intervista passere da passerella per Max.
Forse perché se uno gli si presenta davanti e non è Fernanda Lessa o
non ha l’aria del critico serio con il gessato e la Jaguar pensa che non
valga la pena sprecare tempo e vocaboli. Ma tutto questo non ha niente a che
fare con
La Più grande balena morta della
Lombardia, stupefacente libro sullo stupore con foto di copertina
bruttarella di Kazutomo Kawai ma dentro un gorgo pronto a
risucchiarti dentro da pagina 3 a pagina 177. Niente, lo giuro: leggendolo
ho scoperto che negli anni Settanta Viggiú era uguale a Salice Salentino
(Le). A parte i cognomi, l’idioma e la toponomastica, d’accordo. Ma i
Ricchi e Poveri, i Rockets, Donna Summer,
Cicciolina, i
giornalini sporchi e L’Uomo Ragno e il Corriere della paura
dell’Editoriale Corno e l’enuresi notturno (o notturna) e i compagni
delle elementari che sapevano il segreto della sborra...tutto uguale!
Il godimento
nasce dalla forza di una scrittura che pesca odori, nomi, cose, animali,
città, cantanti dal cilindro della memoria e inventa una nuova galassia
comica e spaventosa al tempo stesso, abitata da apparizioni
accecanti/attraenti.
"Io avevo visto Toni Negri al telegiornale e mia nonna
ogni settimana me lo faceva vedere su Famiglia Cristiana e mi diceva che se
non andavo a messa tutte le domeniche da grande diventavo il Toni Negri di
Viggiú."
E: "Al telegiornale
facevano vedere dei bambini che piangevano, oppure erano morti. Avevano la
faccia piena di mosche e facevano schifo. Quelli vivi cercavano di succhiare
le tette delle mamme."
Un critico serio e anche adulto scriverebbe che
Aldo Nove (o 9, o A.T.S. Centanin) parla da anni delle solite cose che
gli/ci gravitavano intorno nei Settanta e negli Ottanta. Chiuderebbe il caso
citando Tommaso Ottonieri
che una volta, uscendo alterato da un pub
finto irlandese dove aveva fatto bisboccia con gli amici, ha detto: "Aldo
Nove è lo scrittore più apprezzato da tutti coloro che lo amano". Poi,
dopo essersi tolto un pelucchio sale e pepe dal colletto del gessato,
consegnerebbe il pezzo in redazione e salterebbe sulla sua bellissima Jaguar
verso nuove, pazze avventure.
Ma questo è più o
meno l’atteggiamento della critica italiana con una trave nell’occhio e un
pelucchio sul gessato. È lo specchio di chi persevera malignamente nel
bollare l’immediatezza comunicativa come sottoprodotto. Io sostengo che,
stronzaggine a parte, il 9 continua ad essere uno dei numeri più forti della
nostra letteratura. So che è così, se è vero che nel suo lavoro il magazzino
della memoria si impone come il luogo deputato della testimonianza e delle
correlazioni tra passato e presente che possono diventare materiali di
reinvenzione, dunque di depensamento. Se è vero altresì che
"Gli adulti di questi millenni di vita umana non hanno
gli strumenti per capire i problemi di un bambino".
Nino G. D’Attis |