“Cara Jude. La
mutazione dell’io è normale.”
Che
fine ha fatto l’allucinato antieroe Phineas Poe? Lo svela questo secondo
romanzo di Baer, scrittore americano approdato alla traduzione italiana nel
2005 (sempre nella collana Black Marsilio) con Baciami Giuda. Il
titolo originale de Il Gioco delle lingue è Penny Dreadful e
la storia mette in scena, oltre al protagonista della saga, un gruppo di
individui dal fascino oscuro usciti da un incubo che miscela
Philip K. Dick
e il Vampyr di Dreyer: ci sono Chrome e Mingus l’Alitatore,
anime dannate, cacciatori in agguato nei vicoli bui e lerci di una città
fatiscente. E c’è Lady Adore: il nome è tutto un programma (ai musicofili
non sfuggirà il richiamo alla Ava Adore che dava il titolo ad un brano degli
Smashing Pumpkins) per una mistress dall’anima perversa che governa l’Unbecoming
Club e tiene in pugno Goo, l’altra identità di Eve (personaggio apparso nel
primo episodio).
Poe è tornato a Denver da solo. Jude, la donna che l’ha privato di un rene e
che l’ha trascinato in una follia d’amore e morte, è lontana e lui, tanto
per cambiare è allo sbando completo: in bolletta sparata, in stato
confusionale, depresso e bisognoso di cibo, abiti puliti, lavoro (lecito o
sporco fa poca differenza). È il vecchio amico Moon ad offrirgli
un’opportunità in tal senso nel bel mezzo di una sbronza coi fiocchi: il
detective, gran figlio di puttana, intende ritrovare un agente di nome Jimmy
Sky scomparso nel nulla.
“Non avevo mai
sentito parlare di un poliziotto di nome Jimmy Sky. Mi ricordava fin troppo
il nome di un eroe dei fumetti, uno dall’identità segreta. Sembrava il nome
di uno stupido supereroe, di un personaggio di serie B come Lanterna Verde.”
Poe indaga e si ritrova un’altra volta nei casini perché a Denver succedono
cose davvero molto strane e basta poco per ritrovarsi sull’orlo della
pazzia. Per dirne una: il gioco del titolo consiste nell’acchiappare
qualcuno, soggiogarlo e strappargli la lingua. All’inizio per finta, poi si
fa sul serio, con tanto di sangue che fuoriesce dalla bocca della vittima di
turno.
Con questo bel romanzo, Baer perfeziona il suo personalissimo tentativo di
operare un crossover tra generi diversi (mistery, fantascienza ed horror
d’ambientazione urbana). Dosa sapientemente gli ingredienti, cattura dalla
prima pagina sfruttando un pulsante, tesissimo conto alla rovescia che
porterà il lettore sempre più in basso, nella psiche malata di tutti i
personaggi (protagonista incluso). Funziona l’idea di affidare il dipanarsi
degli eventi ad una pluralità di voci: il ritmo trascina (molto meglio che
nelle prove più recenti di Neil Gaiman, ad
esempio) e non mancano incursioni nell’umorismo (nero, naturalmente) come
nel flashback dedicato ad un Poe tredicenne che apprende la notizia della
morte di Elvis Presley mentre la sua prima fidanzatina gli sta facendo un
servizietto; in alcuni dialoghi tra Poe e Moon che sfociano nella gag pura,
o in passaggi come questo:
“Moon aveva caldo. Ora gli sudava la
faccia. La sua faccia. Che razza di dio gli aveva dato una faccia sudata?”.
Non è cyberpunk, genere morto e sepolto da tempo tra pochi capolavori e
molta robaccia, riposi in pace. Il Gioco delle lingue è un noir che
somiglia a una danza psicopatica ballata in un posto desolato dove è normale
battere i denti per la paura. Da trangugiare tutto d’un fiato.
(V.L.)
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