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LA NOTTE IN CUI SCOPAI LA FIGLIA DI SAMMY BARBO’ Racconto di Jo Laudato

 

LA NOTTE IN CUI SCOPAI LA FIGLIA DI SAMMY BARBO’ Racconto di Jo LaudatoRobustella, carnagione olivastra, alta due spanne più di me e con i capelli corti, molto afro.

Quando arrivò in campeggio iniziarono i pettegolezzi.

“Il padre è un bastardo”. “ Non la vuole ed è costretta a girare con la nonna”. “Lei lo odia”.

Ci conoscemmo al concerto di Ron in una serata terribilmente calda.

Il pubblico era decisamente ostile e cori da stadio gridavano “frocio” ogni volta che Ron  finiva una canzone.

“Una città per cantaaaare…” Frocio.

Eravamo un gruppetto di sei o sette e quella sera quasi non mi notò.

Fu in spiaggia che approfondii e misi in mostra le mie qualità. Giocavamo a pallavolo, catturavamo meduse con il retino, ascoltavamo Vasco Rossi ma fu soprattutto il giorno in cui intrappolammo nella sabbia bagnata un’amantide che prese coscienza di me. Torturammo l’animaletto per venti minuti ridendo come si ride a quell’età.

L’amantide è un insetto parecchio bastardo ma noi lo fummo di più.

La sera girava per il campeggio atteggiandosi da divetta; in realtà era  scurrile e manesca, priva di quella femminilità necessaria per un’adolescente. La nonna la teneva al guinzaglio, non la perdeva di vista un secondo , le diceva in continuazione “ti tengo d’occhio” e lei per tutta risposta la chiamava tra gli amici “quella vecchia troia”.

In pista era un demone che annichiliva, una bestia marchiata di sensualità. Intorno a lei vecchi bavosi che la guardavano ancheggiare, trentenni con la maglietta dei Rockets pronti all’assalto e mamme coraggio che scuotevano la testa.

Scelse me, il mio maglione appoggiato sulle spalle, la coca cola con la cannuccia rossa e quella faccia di chi ancora non ha assaporato le prelibatezze della vita.

Mi prese per mano e mi portò nella sua tenda , prolungamento di una roulotte faraonica. Dentro, la nonna russava come un orso. Mi fece sedere per terra, al centro della tenda e si tolse la maglietta. Due tette sode e orgogliose illuminate dal chiarore della luna mi fecero vacillare per un’attimo. Avrei voluto palpeggiarle per ore ma sembrava che non rientrasse nel suo programma. Si tolse anche le mutande e trascinò la mia testa fra le sue gambe; fu come tuffarsi in un piatto d’acciughe. Odore salino e affumicato.

Fu l’unico momento in cui la sentii gemere.

Quando fu sazia mi tirò a sé e cominciammo a strusciarci senza controllo. Il pene soffocava in quei maledetti jeans attillati tanto in voga verso la fine degli ottanta. In lontananza si sentivano gli echi degli Alphaville.

Forever Young.

Porco mondo sì !

Per sempre giovane.

Era forse quella la beatitudine di cui avevo sentito parlare al catechismo?

In preda ad una violenta eccitazione venni miseramente fra le mutande.

Orrore.

Non me lo avrebbe certo perdonato, rischiavo di essere picchiato. Fermai le sue tenaglie e con una scusa mi precipitai nei cessi del campeggio che distavano quasi mezzo chilometro.

Non fu una bella scena. Non che avessi un getto alla John Holmes ma dovetti tamponare parecchio.

Al ritorno la trovai alquanto contrariata, “quanto cazzo ci hai messo?”.

Ricominciai a dimenarmi sul suo corpo; mi concentrai sulle tette, sui ciuffetti irti della sua vulva nera e il mio uccello, non ancora contaminato dai vizi si risollevò. Tirai fuori un preservativo che conservavo nel portafoglio da due anni e comiciammo la rumba. Mentre la scopavo pensai a Discoring, ai varietà domenicali, ad Heather Parisi, incurante del fatto che lei era assorta in un gelido silenzio. Appoggiata con i gomiti a terra, era distante, assente.

Per quanto mi riguardava avrebbe potuto anche sfogliare un giornale di alta moda.

Era il mio momento.

Stantuffavo inebriato guardando nel vuoto.

Per sempre giovane.