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WILLIAM S. BURROUGHS: Le Città della notte rossa (Arcana, pp. 300, € 16,50; traduzione di Giulio Saponaro) |
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“All’età di quattordici anni, quando cominciai ad avere sogni che culminavano con l’eiaculazione, decisi di imparare il controllo dell’energia sessuale. Se sapevo raggiungere l’orgasmo a comando in stato di veglia, potevo fare lo stesso nei sogni e controllare i miei sogni invece di farmi controllare da loro.”
Lo Zio Bill ritorna. Tornerà sempre, poiché già in vita riuscì a conquistarsi non solo l’eternità letteraria ma anche la facoltà di aprire fenditure e varchi al fine di viaggiare senza limiti di sorta avanti e indietro nel tempo (addirittura nelle opere di altri scrittori, se avete letto La Ragazza che non era lei di Tommaso Pincio). «Torno subito» furono del resto le sue ultime parole nell’agosto 1997, prima che un attacco di cuore portasse le 83 primavere del suo corpo nella morgue del Memorial Hospital di Lawrence, Texas. Il perfetto e temporaneo congedo che ci saremmo aspettati da un grande esploratore, uno psiconauta, uno scienziato armato di pistola e fervida immaginazione. La ristampa del romanzo Le Città della notte rossa, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1982 e riedito nel 1997, offre solo una copertina nuova e caratteri più grandi quando sarebbe stato più logico aspettarsi almeno una nuova traduzione e una cura editoriale mirata ad epurare errori e strafalcioni (molto meglio l’operazione condotta da Adelphi su Pasto nudo e La Macchina morbida). Tuttavia, sia detto a beneficio dei neofiti, è sempre bene approfittare della presenza di Burroughs in libreria: prendere un suo libro, portarselo a casa con la consapevolezza di essere entrati in possesso di una mappa preziosa e vivere un’esperienza di lettura che lascia il segno senza pensare più di tanto alla pigrizia di certi editori di casa nostra. Ho sempre trovato fuorviante il consiglio di Fernanda Pivano all’inizio della sua introduzione: suggerire Pasto nudo come opera più accessibile rispetto a Le Città della notte rossa non è sensato. Al contrario, proprio il romanzo di cui stiamo parlando è quanto di più vicino a una storia raccontata senza troppi guizzi sperimentali Burroughs sia riuscito a consegnare ai lettori (altri due testi “scorrevoli” potrebbero essere La Scimmia sulla schiena e La Febbre del ragno rosso). Vero invece quanto afferma la decana delle guide alla letteratura statunitense del Novecento a proposito del carattere riepilogativo dell’intero universo tematico burroughsiano rintracciabile in quest’opera: il filtro dell’osceno, i tabù legati alla morte per parlare del potere, della paranoia, di un mondo senza amore con una forza visionaria impareggiabile che deriva tanto da Swift quanto dai racconti pubblicati da riviste come Weird Tales ed Amazing Stories negli anni Cinquanta. Le impiccagioni rituali, i virus venerei, le armi da fuoco, il sinistro dottor Benway, il prostituto Kiki, l’ombra del Signore degli Assassini Hassan I Sabbah sono elementi costitutivi del lavoro dello scrittore di St. Louis e come tali impregnano Le Città della notte rossa, una storia di pirati rivoluzionari che si sovrappone, si intreccia ad un mistery in cui l’investigatore Snide e il suo assistente Jim seguono le tracce di alcuni ragazzi scomparsi. “Il mio nome è Clem Williamson Snide. Sono un culo privato.” si presenta il detective armato di .38 a canna mozza ed esperto di magia, giocando sull’assonanza (in originale) tra “eyes” ed “ass”. E che dire del febbrile primo capitolo ambientato nel 1923, con Farnsworth, Ufficiale Sanitario Distrettuale che tira avanti ingollando palline di oppio o del secondo, intitolato Vediamo il Tibet con il binocolo del popolo? Science-fiction, giallo, racconto picaresco, omaggi a Stevenson: non manca proprio niente in un mix di parodia, immagini crude e drammatiche, inserti da testi preesistenti (La Macchina del tempo di H.G. Wells, canzoni da musical, saggi di medicina, storia e antropologia). Lo Zio Bill dice: “Messe di fronte alla vera pratica della libertà, le rivoluzioni francese e americana sarebbero costrette a mantenere la parola.” E: "Ho scavato un buco nel tempo con un petardo. Che altri ci passino attraverso.” Lo Zio Bill è fortunatamente ancora tra noi: ascoltate le sue parole ovunque voi siate in questo preciso istante.
(N.G.D’A.) |
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