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CHUCK PALAHNIUK: La Scimmia pensa, la scimmia fa (Mondadori, pp. 272, € 15,00;traduzione di Giuseppe Iacobaci)

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Questa volta non si tratta di fiction ma (parafrasando il titolo originale della raccolta) di qualcosa di più strano della fiction stessa. E Quando la realtà supera la fantasia, Palahniuk scrive della vita vera che influenza le sue storie e quelle di autori che gli somigliano o che lo hanno ispirato. Palahniuk scende in strada, osserva persone e cose, prende appunti, pone domande, prende altri appunti che andranno ad aggiungersi ai materiali accumulati in precedenza. Che sia il Festival del Testicolo di Rock Creek Lodge, un week-end a Waterloo, Iowa, insieme a lottatori non professionisti che partecipano alle selezioni regionali del Nord per le Olimpiadi, oppure una serata a casa della rockstar Marilyn Manson, non fa alcuna differenza. Che si parli di una pericolosa gita a Seattle con costume da dalmata “per vedere l’effetto che fa” o di un prodotto che in teoria dovrebbe sviluppare le tue labbra per renderle sexy come quelle di Brad Pitt, c’è sempre roba grossa, calda, di primissima scelta per scrivere qualcosa. La realtà: il grande serbatoio di storie dritte, storte, tenere o crudeli, balorde o...

   Accoppiamenti all’aperto, sotto gli sguardi di una folla che consuma quantità industriali di birra.

   Cazzi di toro essiccati per farne bastoni da passeggio lunghi quasi un metro.

   Orecchie di lottatori maciullate.

   Mandibole rotte, croste e sangue.

   Il demolition derby delle mietitrebbie a Lind, nello Stato di Washington.

   Juliette Lewis che parla di se stessa.

   Il salone da ballo dell’Airport Sheraton Hotel: paghi una quota tra i venti e i cinquanta dollari e ottieni in cambio sette minuti per parlare del tuo manoscritto o della tua sceneggiatura inedita a un agente letterario, ad un editore o a un produttore cinematografico. Sette maledettissimi minuti per convincere un estraneo a investire sul tuo talento: o ce la fai, oppure torni indietro a testa bassa (è l’America, bellezza!).

   Il metallo di un sommergibile della Marina Militare, le scarpe da tennis indossate dall’equipaggio e i piccoli alberelli pieghevoli d’alluminio per festeggiare il Natale a bordo.

   Brad Pitt che sul set di Fight Club esclama: «Grazie per la parte più fottutamente bella di tutta la mia fottuta carriera!» mentre sta girando quello che personalmente considero il film più fottutamente bello dell’intera storia del cinema.

   Una sezione finale occupata da sette pezzi strettamente autobiografici: Palahniuk accompagnatore volontario “in quel posto dove venivano a morire i giovani privi di assicurazione sanitaria.” Palahniuk meccanico a cinque dollari l’ora, dopo la laurea in giornalismo. Palahniuk assediato fino allo sfinimento da persone convinte della reale esistenza dei fight club. Palahniuk che parla dell’omicidio di suo padre, ucciso dal marito di una donna incontrata dopo aver risposto a un annuncio personale.

   Tutto quel che vi serve per capire come funziona la testa di un narratore (e che narratore!) è dentro questo libro. A cominciare dalle prime righe: “Casomai non ve ne foste accorti, tutti i miei libri parlano di una persona solitaria che cerca un modo per entrare in contatto con gli altri.”    

 

(N.G.D’A.)

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