Sono lacrime.
Leccandosi le labbra, Gea dice: “Lasciale scorrere” mentre continuo a
fissare la bionda in tanga di tulle e pizzo bianco elasticizzato circondata
da sette nani thailandesi.
Lacrime. Yasujiro si è buttato sul porno sentimentale dopo aver attraversato
una fase caotica dominata da percorsi narrativi che andavano in direzioni
diverse e da un programmato, euforico erotismo dai tratti sadici.
È tornato, trascorsi quattro anni di deriva silenziosa nel suo rifugio a
Yokohama, nella casa scelta dalla sua terza moglie lappone come teatro di un
suicidio natalizio col gas. “Questo è il mio ultimo film” sospira. “Avrei
smesso comunque, anche se il virus non mi avesse infettato.”
Occhi incavati. Una boccata di sigaretta senza filtro. Spalle gracili sotto
l’eterna t-shirt con la faccia triste di Buster Keaton.
“Non ricordavo Roma così brutta, ma uno si attacca sempre ai ricordi.”
La scena: grande sala da ballo con pannelli di finta quercia in fibra di
vetro dipinta color carne, sette nani e una diva a luci rosse separata di
fresco da un mezzobusto del trash post-televisivo di quando eravamo piccoli.
Aurora Moore, venticinque primavere e altrettanti interventi di
rimodellamento, fuma una Camel dietro l’altra in sella a una Yamaha Drag
Star XVS 650 avorio spandendo aria di manza su tutto il set.
Inaccessibile. Giusto un mese fa, a Cannes, le sue guardie del corpo hanno
mandato al pronto soccorso Tony Pileggi, critico d’assalto della web-zine
‘Cum Movies’ reo di aver stroncato in poco più di cinque righe il thriller
Aurora, Strettamente Confidenziale. Lesioni alla calotta cranica, denti
sbriciolati, testicoli fuori uso. Ora il povero Tony mangia semolino e
piscia nel pappagallo. Ecco perché non posso intervistare Aurora per il
libro che sto scrivendo. “Noi” dicono le sue tette a testata nucleare, “Noi
ti spareremo a faccia in giù su Saturno.”
La mano di Gea sul mio ginocchio destro. Segni di morsi sulle nocche,
l’unghia del medio spezzata. Ha investito tutti i suoi risparmi nell’ultimo
progetto di Yasujiro. Il Maestro delle luci piene, delle inquadrature ampie,
è di nuovo al lavoro, salvato dai prodigi della tecnologia digitale. Nessuno
gli avrebbe più offerto uno straccio di possibilità di girare in pellicola:
troppo vecchio per stare su un set, colpito da una brutta malattia che l’ha
reso quasi cieco. Le assicurazioni rifiutavano di coprire. Poi è arrivata
Gea, reduce dal successo planetario del primo kolossal hard ambientato su
una vera stazione orbitante. Un film con stupende A-Dolls mescolate ad
attori in carne ed ossa, effetti speciali in 3D, copule a gravità zero,
colonna sonora con brani di Mendelsshon, Strauss, Ligeti, eseguiti dai
Brazilian Mutoid Lovers, boy-band di soul industriale scoperta in una favela
di San Paolo dal produttore e talent-scout Trent Nails. Un trionfo anche sul
fronte dei gadgets: a ruba il modellino-vibratore dell’astronave Godiva
X-perience; in crescita esponenziale il mercato delle A-Dolls realizzate a
Tokyo dalla Ryu Babbage Inc.
“Il sesso con gli androidi non è male” butta lì Gea. “Io e te eravamo troppo
diversi per continuare a stare insieme.” Tira su le ginocchia fino al mento,
lascia che le labbra prendano la curva di un sorriso abbozzato. “Non ho
avuto altri uomini, da un anno a questa parte. In compenso gli androidi non
conoscono lo stress, non sono egoisti fino all’autolesionismo, non procurano
ansie ed emicranie.”
“Quadro perfetto, tesoro.”
Onde di sarcasmo coprono di schiuma gli scogli che ci separano. Prendo la
mano di Gea, la porto alle labbra, ne bacio il palmo. La sento irrigidirsi,
puntare la freccia del cursore su MINACCIA e fare clic con il mouse.
Desiderarci, respingerci: non abbiamo altro, Gea ed io. È la nostra deriva.
“Gli androidi sono un palliativo per chi si è lasciato contagiare dalla
psicosi del contatto fisico” dico. “Che fine ha fatto la tua incrollabile
fiducia nella realtà?”
Stiamo guardando questi corpi che si scaldano sotto i riflettori. Luis,
l’aiuto regista, sta facendo del suo meglio per arginare la furia omicida di
un rappresentante del Pileggi Fans Club. Vogliono la testa di Aurora.
Minacciano di bloccare le riprese del film se non gli daranno in pasto
almeno i suoi gorilla.
“La testa ci serve, insieme a tutto il resto. E Aurora non gira neanche una
posa senza Aldo e Giovanni nei paraggi” fa Luis. “Tornate tra due settimane
e vedrò di fare il possibile per accontentarvi.” Il tizio schiuma dalla
bocca. Si torce le mani, fa andare su e giù il pomo d’Adamo come un
ascensore impazzito.
“Per favore, signor Luis, non voglio complicazioni...”
“Ha la mia parola, Rodriguez.”
“Dio la benedica.”
Sto desiderando Gea. Muoio dalla voglia di saltarle addosso, infilare le
mani nella sua camicetta, sentire l’odore della sua pelle. Vorrei portarla
via da qui, chiamare un taxi e restituirla alla vita che avevamo secoli fa.
“Una volta” dice Yasuijro, quasi mi avesse letto nella testa, “ho ripreso i
vostri amplessi. Ora dovreste permettermi di fare un film sulla vostra
Grande Glaciazione.”
Gea lo aiuta ad alzarsi in piedi. Gli sussurra qualcosa all’orecchio, lo
scorta dai suoi attori. Tutto pronto per un altro ciak. Aurora Moore spegne
la sigaretta, sputa lontano la gomma che stava masticando e mostra il medio
al signor Rodriguez.
“Io sono vera”, gli fa. “E tu sei schifosamente falso e morto". |