ANDREA CONSONNI: Wrong (Edizioni Il Foglio, pp. 212, € 8,00) |
“Il mondo dove mi piacerebbe vivere non esiste perché sarebbe tutto e niente, soprattutto niente.” Così è scritto nero su bianco, circa una trentina di pagine prima della fine di questo secondo romanzo di Andrea Consonni, nato nel 1979, operaio della provincia di Lecco in una cooperativa che si occupa di disabili. Wrong arriva tre anni dopo l’esordio per la salentina Besa Editrice con il noir atipico (“schizzatodeviato”, lo definisce l’autore) Settantanove punti di fuga e rispetto al suo predecessore si presenta subito come un mosaico narrativo più a fuoco, compatto nonostante qualche forzatura sulla manopola della rabbia post-adolescenziale e dialoghi che in alcuni passaggi avrebbero potuto beneficiare di maggior dinamicità, ma degno di attenzione fin dall’incipit urlato fuori da Andrea (aka “endri-theboywiththearabstrap”), io narrante di un lungo monologo che comincia con un “Non me ne frega un cazzo del mio futuro, di quello che farò da grande, di quello che ho fatto, di quello che fanno gli altri...” prima di lanciarsi in una lista di nomi e cose in gran parte pescate dalla scatola-letamaio che chiamiamo comunemente televisore: Bush, Bin Laden, Don Mazzi, le Torri Gemelle, Naomi Klein, i Pokemon, San Patrignano, la famiglia Craxi, le veline e le letterine, le fanzines e le mostre del cinema ma anche Luttazzi, i Verdena, gli Afterhours. Andrea ascolta i Sonic Youth, i Mad Season e gli svizzeri Eva Kant (citati anche in epigrafe con il verso ultra dark: “Learning to die is learning to smile”). Vomita, fuma come una ciminiera, guarda la videocassetta girata al funerale del nonno partigiano, poi i dibattiti su Telelombardia, emittente leghista. Deambula, osserva in disparte il vuoto o il dolore degli altri (incluso il processo di autodistruzione tra droga, alcolici e psicofarmaci della sorella Sarah), raccatta mentalmente le poche cose che sa di Simone, suo fratello maggiore, quindi si domanda cosa stia facendo Salinger o se la sua esistenza sarebbe migliore se si svolgesse all’interno di una fiction. “Riposo mentre gli altri lavorano, mi chiedo come fanno a non fermarsi mai per spararsi un colpo in testa.”, riflette. “Odio tutti i miei amici perché sono solo capace di causare casini, perché sono solo capace di deluderli” E: “Dico di volere distruggere tutto ma poi non farò niente, resterò sempre in quinta fila a vedere come vanno le cose.” Wrong non è mozzafiato, non è leggero, non concede appigli ad un pubblico in cerca di svago e consolazione, ma rivendica in tutta onestà lo status di romanzo che affronta il mondo a brutto muso dopo averlo inquadrato sotto una luce cruda da spogliatoio. È un match serrato (e mai dissimulato) quello che la scrittura di Consonni organizza riuscendo nei momenti più ispirati a piegare la punteggiatura al servizio della voce. Può legare a sé il lettore o allontanarlo in virtù di una corrente viscerale di imbarazzante autenticità prodotta da questa lotta sfiancante, senza esclusione di colpi, contro un quotidiano che tritura nei suoi meccanismi chiunque rifiuti di farsi ingranaggio. Ruvido e punk quanto Costretti a sanguinare di Marco Philopat e Alienazioni padane di Saverio Fattori con le sue visioni di deterioramento, vagoni merci, fabbriche chiuse, bandiere che sventolano inutilmente, sogni clamorosamente mancati, infranti da un pezzo contro la barriera di un incubo. “Il mondo dove mi piacerebbe vivere non esiste...” Suona un po’ come quel lapidario “Mi manca chiunque” sulla quarta di copertina de La Scopa del sistema di David Foster Wallace. (N.G.D’A.)
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