CARMELO BENE / GIANCARLO DOTTO: Vita di Carmelo Bene (Bompiani, pp. 422, € 10,00) |
Era il 1998 e la mia tesi di laurea sul cinema di Carmelo Bene stava finalmente arrivando all’ultima di una serie apparentemente infinita di stesure quando questo volume apparve per la prima volta in libreria. Frutto di lunghe conversazioni tra Bene e il giornalista Giancarlo Dotto – interlocutore arguto, particolarmente ferrato in materia di aneddoti pubblici o privati dell’artista - autobiografia ricca di colpi di scena come un grande romanzo, quindi perfetto compendio al coevo Discorso su due piedi (il calcio) scritto insieme a Enrico Ghezzi e pubblicato sempre da Bompiani. Letta d’un fiato in una sola notte, questo me lo ricordo. Letta e immediatamente collocata nello spazio immateriale dei libri da isola deserta, delle pagine da riaprire ancora e più volte, accanto a tutto il corpus delle Opere e all’ultimo poema 'L mal de' fiori, alle pellicole che finora nessuno ha restaurato/riversato/distribuito in Dvd («Non può vedere Capricci, è in fase di restauro» mi disse nel ‘96 un irreprensibile impiegatuccio della Cineteca di Stato. Mai più visto in effetti. Mai sentito parlare prima e/o dopo di allora di lavori di ristrutturazione intorno a quel film). “L’amore è questo quando che s’è stracchi mi si chiudono l’occhi” Non il libro in questione, ma la vita stessa di C.B. È un romanzo con un protagonista straordinario sopravvissuto a calci, morsi e sputi alla mediocrità altrui. “Si nasce con uno spasmo, si muore con un ghigno.” e in mezzo c’è molta avventura, una lotta all’ultimo sangue o all’ultimo schiaffo con la noia, con le milizie della bassezza umana, combattuta in piazza, attento a non finire in uno di quei vicoli claustrofobici, ottusi che qualcuno ha progettato al fine di inghiottire chiunque risulti diverso dalla norma fin dal primo vagito. “Andavo sempre dritto per le mie strade. Se non facevo una cosa ne facevo un’altra, due, tre diverse insieme. Non mi sono mai fermato, non mi sono mai occupato d’altro e passo tutti i miei giorni sul mio allenatissimo cadavere.” Imprese picaresche, incontri importanti (Camus, Flaiano, Pasolini, Klossowski, Eduardo De Filippo, Deleuze), sedici anni con una donna complice in tutto come Lydia Mancinelli, altre figure femminili che fanno dire: “L’aver sempre mancato la donna, mi ha condannato a frequentarla in modo fin troppo ossessivo, nella vita o-scena.” Schopenhauer considerato un educatore permanente. L’infanzia tra preti ubriaconi che biascicano una messa in latino inframmezzata da scurrilità nella scuola degli Scolopi, a Campi Salentina. La Roma degli anni ’50: “Nel giro di un anno, il ’57, avevo conosciuto i commissariati di mezza Roma, dal Collegio Romano a via Goito. C’era Scelba allora. Bastava girare con la barba non rasa di un giorno per essere fermato e interrogato”. L’internamento in manicomio voluto dai genitori dopo le prime nozze con Giuliana, conosciuta in camerino dopo una replica del Caligola: “Per sottrarmi a quella che lui riteneva una follia, mio padre, in combutta con il primario, aveva optato per un ricovero coatto. Il primo piano, quello delle malattie nervose, era stipato, sicché mi avevano sistemato tra i veri pazzi”. Il ‘Laboratorio’ messo in piedi in un cortile al numero 23 di piazza San Cosimato a Trastevere, tra poltrone sfondate, tavolacci, cinque metri di boccascena, beffe e sevizie al pubblico, litri di whisky, spaghettate del Nistri (al secolo Manlio Nevastri), spettacoli per niente convenzionali come Addio porco. E poi la scrittura, il cinema, la musica, le reiterate incursioni nel tubo catodico. Non sapremo mai abbastanza di C. B. Certo, vorremmo sapere meno degli stomachevoli banchetti organizzati intorno al suo cadavere anniversario dopo anniversario, o se non altro imparare definitivamente a ridere alla sua maniera degli avvoltoi, dei promotori di commemorazioni, di quegli enti pubblici che fino al 16 marzo 2002 l’avrebbero al più internato una seconda volta: camicia di forza, sedativi e brodino di pollo alle sette di sera. Un buon allenamento è darsi a questa Vita di Carmelo Bene che si ripresenta adesso in formato tascabile, con un’impaginazione e una grafica addirittura migliori rispetto alla versione hardcover, all’interno della neonata collana ‘I Libri di Carmelo Benè (già disponibili inoltre Sono apparso alla Madonna e il romanzo Nostra Signora dei Turchi) curata dall’editor Elisabetta Sgarbi in collaborazione con la Fondazione L’Immemoriale. Affidatevi ai lucidi vaneggiamenti pronunciati da una voce unica, insostituibile, vera. Corps-caméra. Macchina attoriale. Poeta con un’anima intarsiata di cicatrici. “Era umile, sembra strano dire questo, ma era uno umile” ha scritto Jean-Paul Manganaro. “Era un’umiltà straziata e vera, storica, come la si potrebbe pensare oggi di un santo antico, un’umiltà armata di spada, armata di dolore.” Meglio di un romanzo.
(N. G. D’A.) |
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