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ENRICO BRIZZI: Razorama (Mondadori, pp.264, € 17)

 

ENRICO BRIZZI: Razorama C’è stato un tempo, non molto lontano per la verità, in cui noi, tardo-adolescenti ormai venticinquenni, avevamo eletto un certo Errique da Bologna a nostro fratello maggiore ideale. Un fratello con la penna che gli cantava in mano.

Lontani dai Siddartha, dai Gabriel Garçia Marquez e dai Quaderni Rossi dei nostri genitori, avevamo scelto Saragozza Avenue come teatro delle nostre fantasie. E così abbiamo sospirato per un bacio di Aidi, scalato i colli in sella ad un’Atala d’antan. Ci siamo innamorati del sapore di vaniglia del cigno Chiara ed abbiamo avuto paura dell’Assiro. Avremmo voluto far parte della ballotta insieme a Cousin Jerry e Dietrich, ma ci saremmo accontentati anche di conoscere Martina Superchi. Oppure di fare un salto alla Eskimat sul sedile posteriore del pesce martello con Gabrio ed Oscar seduti davanti. Leggevamo di sensazioni, di sguardi, atmosfere, primavere e tramonti che solo se vivevi a Bologna potevi capire. E noi li capivamo. Leggevamo e ci immergevamo catarticamente nelle imprese dei nostri eroi. E poco importava se Aidi ed Alex poi non si baciavano o se Deltoid era introvabile in tutta l’Europa centrale. La penna dell’Errique era il vero lieto fine. E noi, tardo-adolescenti ormai venticinquenni, ci innamoravamo. Ascoltavamo la "sua" musica, leggevamo i "suoi" libri. Lo inseguivamo, aspettavamo un suo cenno per seguirlo: Clash e De Carlo e Ramones e Pogues e Tognazzi e Cure e.

Poi però ti accorgi che un giorno, tardo-adolescente che eri, devi crescere. Non che cominci a comprarti i libri di Stephen King, Smith e Giorgio Bocca come hanno fatto parte dei nostri padri. Ma, dicono, devi prenderti delle responsabilità: laurearti, trovare un lavoro, una donna che voglia starti accanto nella buona e nella cattiva sorte, fare la fila per pagare le bollette e far quadrare i conti a fine mese. Poi per le letture puoi anche continuare con Brizzi. Ma nel frattempo ti rendi conto che è cresciuto anche lui. Niente Bologna, nessuna vespa o dueruote che siano, niente vaniglia, né entusiasmi di amori o sentimenti appena nati. Niente pesci martello, né cartine in cui avvolgere cacchette di pakistano costose. Signori, si cambia! Un ca-ta-ma-ra-no! Che salpi da Rimini, o da Riccione, dove Martino si accappottava ogni weekend?! Ma neanche per sogno! Un catamarano che veleggia tra il Kenya ed il Madagascar. Con a bordo quattro giovani "amici" della Parigi ricca e naìf. Bruno, Marcel, skipper e padrone del Saint Just, Valentin e Sheila. C’è un giornalista Claudio Clerici, inviato a Tanà, capitale dell’isola, per un reportage sugli italiani in vacanza. E c’è pure il  suo contatto indigeno, Adriano, un altro italiano, sfuggito a sua volta dal posto fisso e dalla scrivania pronti per lui in madrepatria.

Romanzo di febbre e furia. Così lo definiscono in Mondatori. Febbre e furia? Dove, quali? Le ambizioni dei quattro giovani che si risolvono, senza un motivo preciso, nella tragedia del Saint Just? Oppure nella ricerca di un qualcosa da scrivere da parte di Clerici? No, Errique, no. Stavolta non ci sei piaciuto. Perché tutte quelle descrizioni del paese? Perché tutto quel talento gettato via nella descrizione di parti anatomiche della barca o nel raccontarci una tempesta? Perché non c’è la musica, Enrico? La musica, no. Ci deve stare. Ci hai fatto leggere per anni cantando.

E ci hai fatto cantare leggendo.

E adesso? Via la colonna sonora? C’è angoscia in questo libro, non sappiamo se sia generazionale o meno. Ma a noi non è piaciuta. Manca la trama, non c’è la storia. Sì, per carità, Marcel è inviato nell’isola per sposare la figlia del candidato presidente, Valentin ha un fratello laggiù che vorrebbe raggiungere. Sheila e Bruno, che ora sta con Valentin, una volta stavano insieme, ma ora Sheila sta con Marcel, che è viscido e ricco da far schifo. Ma poi? Avremmo preferito qualcosa di diverso. Il Madagascar a bordo di un catamarano ce lo avrebbero potuto raccontare anche Patrizio Roversi e Susy Blady, o no?

Comunque, caro Errique, non preoccuparti, per noi cresciuti in Via Saragozza, pur non essendoci mai stati, non è un dramma. Ci sdraieremo sul divano, metteremo su un pezzo dei Cure, ci accenderemo una meravigliosa e riapriremo un libro. Magari proprio quello che finisce citando Vincent, poeta del Feyenoord e dell’Ajax. Forse sei diventato pane, Enrico, e noi non lo abbiamo voluto accettare. Con stima.

 

Simone Pollano

sul web : http://www.enricobrizzi.net