FREDERICK BUSCH: Ragazze (Marsilio, pp. 290, € 13,50; traduzione di Stefano Bortolussi) |
L’immagine argentiana scelta per la copertina (un fotogramma dal film Inferno) è ingannevole. Siamo sempre nel nero, nelle zone buie che la collana Black della Marsilio ama farci frequentare, ma nel romanzo di Frederick Busch, uscito in patria nel 1997, non troverete orrori gotici, fiumi di sangue, urla e smembramenti assortiti. Dolore umano, quello sì. Acuto, profondo, inesorabile come il percorso a ritroso nel teatro della memoria che compie Jack, triste addetto alla sicurezza di un campus tipicamente americano (figli di papà sbronzi, arroganti e turbolenti, professori in pantaloni di velluto e stivali da cowboy che tirano giù le mutandine alle loro studentesse, TransAm con una testa dei Grateful Dead appiccicata sul finestrino posteriore). Benché Jack sia un reduce del Vietnam, le sue ferite ancora aperte hanno a che fare con la fine del sogno di un’esistenza tranquilla accanto alla moglie Fanny e alla figlia Hannah. Tutto perduto, andato, inghiottito da una voragine di disperazione. Perché un giorno la morte si è introdotta nella sua casa e da allora lui non è più riuscito a prendere le distanze da una perdita che ha svuotato di desideri un uomo e una donna, marito e moglie, padre e madre. “Sapevo quale doveva essere l’aspetto di Fanny. I suoi occhi sarebbero stati enormi. Il suo volto, fradicio di lacrime. Sarebbe stata molto pallida. Avrebbe sollevato e spinto oggetti come un uomo. Era addestrata al lavoro fisico. Aveva dimestichezza con le macerie.” Storia di un inverno interiore, più freddo dei paesaggi innevati nel nord dello Stato di New York che fanno da scenario alla vicenda. Lungo monologo intorno al trauma di una tragedia che i protagonisti non sanno esorcizzare, vittime di un’afasia, di una paralisi dei sentimenti ogni giorno più insostenibile. L’elemento thriller è solo l’ossatura intorno alla quale Busch, rinunciando a molti luoghi topici del genere (una caccia vera e propria alla Thomas Harris con tanto di profilo psicologico del villain di turno non c’è) annoda i nervi di un romanzo di orrori sospesi: la ricerca di una quattordicenne scomparsa, probabilmente preda di un maniaco, rimette Jack in azione come ai tempi della guerra. È una scintilla che gli accende dentro l’illusione di poter essere ancora utile a qualcuno/qualcosa, tutto ciò a cui la sua anima logorata riesce ad aggrapparsi. Cupo e privo di effetti speciali, segnato da una buona capacità di ambientazione, poi da dialoghi che diventano una mappa del dolore/destino privato, Ragazze concede poco spazio all’ironia. C’è giusto una curiosa sottotrama che ad un certo punto si innesta nel racconto centrale: l’annunciata visita al campus del vicepresidente americano viene minata da quella che sembrerebbe la minaccia di un attentato in forma di poesiola annotata su un libro intitolato Superfluità indispensabile: una storia della vicepresidenza negli Stati Uniti. Le conseguenze non si fanno attendere a lungo: arriva l’FBI, ha inizio un ridicolo braccio di ferro tra i “nostri” (si fa per dire) e Irene Horstmuller, coraggiosa direttrice della biblioteca pronta a finire in manette pur di non rivelare l’identità della persona che ha preso in prestito il libro incriminato. È un intermezzo che ha il sapore di un omaggio (involontario?) alla grande soap-opera a strisce Doonesbury di Garry Trudeau, ma la lotta di Jack contro i fantasmi che lo tormentano ha la precedenza assoluta. Si arriva alla fine sapendo che non ci sarà un happy end. Si ritorna all’inizio, con della gente comune che sta spalando in un campo innevato. “L’idea” dice Jack “era di non spezzare le sue membra congelate”. (N.G.D’A.) |
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