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LAURENT TIRARD: L'Occhio del regista

(Rizzoli, pp.282, euro 16,50: traduzione di Annalisa Garavaglia)

 

LAURENT TIRARD: L'Occhio del regista "L'errore più grave che un giovane regista può commettere è credere che il cinema sia un'arte obiettiva".

(Emir Kusturica)

 

Come spiega Marco Ponti (quello di Santa Maradona e A+R) nell'introduzione del libro, Laurent Tirad ha trovato il modo di fare "le domande giuste alle persone giuste". Le persone giuste sarebbero venti geni del linguaggio cinematografico: dai "pionieri" (Boorman, Pollack e Sautet) ai "revisionisti" (Allen, Bertolucci, Scorsese e Wenders) fino ai nomi che hanno fatto la storia più recente con opere e stili completamente opposti fra loro, da Tim Burton a Lars Von Trier, da David Lynch ai fratelli Coen, da Wong Kar-wai ad Oliver Stone fino ad arrivare al talento più fresco: il Jean Pierre Jeunet di Delicatessen, Alien 4 e del Meraviglioso mondo di Amelie. Le domande giuste di Tirard, estrapolate da anni di interviste realizzate per la rivista francese Studio, sono il risultato di un'idea semplice ed al tempo stesso unica: porre ad ogni autore questioni che riguardano unicamente il proprio modo di lavorare, uno schema fisso di interrogativi che indagano sul loro metodo di scrittura, sul lavoro con gli attori, sul modo di concepire l'inquadratura ed i movimenti della macchina da presa, sulla scelta degli obbiettivi e così via fino alle tecniche di montaggio e all'uso dello storyboard. Tutto ciò che, in una parola, è pura "regia". Niente necessità promozionali, niente curiosità "mondane", niente del tipo "cosa voleva dire con questa o quella storia?" Solo (scusate se è poco...) squisite discussioni di vita (cinematografica) vissuta, alla maniera de Il cinema secondo Hitchcock di Truffaut (guarda caso un'altro francese) che trent'anni fa fece scuola con un magistrale saggio-intervista che è diventato il principale testo di riferimento di ogni giovane cineasta. Ma, a differenza del cult di Truffaut (che cominciò la sua carriera da regista in parallelo con l'inizio della stesura del libro, come è accaduto oggi allo stesso Tirard che, dopo una lunga carriera da critico, ha appena esordito dietro la macchina da presa) questo testo ha il pregio di mettere a confronto, uno dopo l'altro, venti protagonisti che, nella maggior parte dei casi, si contraddicono puntualmente tra loro nel metodo di lavoro, dimostrando come non esistano né regole né teoremi per la buona riuscita di un prodotto filmico. Su una cosa però sono tutti più o meno d'accordo: si sentirebbero persi se dovessero insegnare regia: "non saprei da che parte cominciare, probabilmente mi limiterei a mostrare dei film" (Bertolucci); "mi pare ci sia così poco da insegnare... perlopiù tutto quello di cui un regista ha bisogno è un aiuto psicologico: equilibrio, disciplina... gli aspetti tecnici vengono in un secondo momento"; (Allen) "Dirigere è un'esperienza del tutto personale... per imparare a fare cinema, forse uno strizzacervelli è più utile di un insegnante..."; (Almodovar); "non so proprio che cosa potrei dire... se non di prendere una macchina da presa ed andare a fare film... (Lynch). In realtà tutti hanno molto da dire, ed in queste interviste il lettore ha la possibilità di confrontarsi sugli innumerevoli ostacoli che ogni cineasta (amatoriale o professionista che sia) incontra inevitabilmente sul suo percorso, a partire dal primo: perché girare un film? John Boorman afferma "io faccio film per sperimentare, se non so di cosa parla un film, comincio a girarlo, se invece mi è chiaro di cosa parla, perdo subito l'interesse". Di approccio più razionale Emir Kusturica, che a proposito dei giovani registi, dice che "hanno spesso moltissime idee ma poca esperienza, e quelle loro idee vanno ben presto in pezzi quando arrivano a scontrarsi con le necessità del reale. Per evitarlo bisogna riuscire a capire chi siamo, da dove veniamo, e come tutta questa esperienza può essere tradotta...". Estremamente più viscerale invece Lars Von Trier, che spiega come "all'inizio il motivo per cui mi sono avvicinato al cinema è che avevo in mente delle immagini che sentivo di dover tradurre... oggi però e tutto diverso.... fare film è diventato per me un modo di crearle".

Un testo davvero prezioso, semplice, diretto e pragmatico. Imperdibile per chiunque abbia pensato almeno una volta di dare vita alle proprie idee attraverso un obbiettivo e per chi, da anni, ha già un nome ed una carriera alle spalle.

 

Antonello Schioppa