Titolo originale: id. |
|
Regia: Jan Kounen |
|
Interpreti: Vincent Cassel (Mike S. Blueberry), Juliette Lewis (Maria
Sullivan), Michael Madsen (Wallace Sebastian Blount), Temuera Morrison (Runi),
Ernest Borgnine (Rolling Star) |
|
Soggetto: Jean Michel Charlier, Moebius |
|
Sceneggiatura: Matt Alexander, Gerard Brach, Jan Kounen |
|
Fotografia: Tetsuo Nagata |
|
Scenografia: Michel Barthélémy |
|
Costumi: Chattoune, Fab, Sylvie Ong |
|
Musica: Jean-Jacques Hertz, François Roy |
|
Montaggio: Jennifer Augé, Bénédicte Brunet, Joël Jacovella |
|
Produzione: A.j.o.z. Films, la Petite Reine, Ugc Images, Tf1 Films
Productions, 120 Films, Crystalcreek Ltd., Ultra Films, Tps Star |
|
Paese: Francia,Messico,Stati Uniti
Anno: 2005 |
|
Durata: 124' |
|
Distribuzione: Moviemax |
|
Sito ufficiale:
http://www.blueberry-lefilm.com |
Già agli inizi dello scorso secolo in
Le Voyage
dans la lune di
Meliés
nel Cinema la tradizione della
science fiction si
sposava con la
psichedelia,
mettendo in contatto e su prospettive simili il "viaggio" metaforico degli
stupefacenti con quello più pratico e fisico della scoperta.
Che fosse attraverso le grezze animazioni di
The
Wall o con la lunga sequenza spazio-temporale
di
2001 Odissea
nello spazio,
l'esplorazione del mondo e la conoscenza interiore da sempre rappresentano
due facce della stessa medaglia, di cui Blueberry è l'ennesimo,
ottimo esempio.
Tratto da alcuni fumetti di
Moebius
è fondamentalmente una storia tutta di traumi e sdoppiamenti, sentimenti
nascosti, perennemente sul bilico d'essere espressi, soffocati da una realtà
cruda e senza scopo che il protagonista percepisce più volte troppo stretta
per sé, inaccettabile.
La sua ribellione comincia infatti con un trauma per la morte
di una donna e termina dopo molto tempo solo per mezzo del
diverso, con
l'incontro di uno sciamano messicano a cui rimarrà sempre legato come a un
fratello e che lo inizierà ad alcuni fondamentali riti magici della
tradizione.
L'incapacità tutta umana di giustificare la violenza sarà la
causa della sua fuga, che lo porterà in un avamposto curioso, forse al
confine con la sacra terra dei Mazatechi, dove i saloon sono frequentati da
gente curiosa quanto il bar di guerre stellari e dove lo sceriffo è,
realmente e simbolicamente, sulla sedia a rotelle.
In questa prima tranche vi immergerete in un'atmosfera calda
eppure inquietante, che già abilmente prelude il fantastico finale e che
marca un po' il trait d'union tra la terra dei buoni e dei giusti ante
litteram (gli Stati Uniti) da quella di coloro i quali sanno senza dover
sapere, senza baccani (il Messico).
Attraverso l'amicizia con lo sciamano il protagonista si
allontana progressivamente dalla vita "normale" di quella "strana" città di
confine, avvicinandosi progressivamente ad una nuova visione della realtà in
cui le cose non succedono per ruolo, per caso o per contratto sociale ma
esclusivamente per arcana potenza naturale, secondo il principio principe.
Berrà pozioni psichedeliche, imparerà a comandare il falcone
ed entrare in simbiosi con la natura, attirando ovviamente la diffidenza e
l'odio dei compaesani, tutti persi nelle trame e negli inghippi mafiosi di
chi non sa prendere la strada maestra ma preferisce sedere scomodo sulle
proprie frustrazioni.
Egli invece riuscirà a conoscere se stesso, il suo alter ego
violento, e alfine se ne riapproprierà per mezzo di un'esperienza con le
droghe talmente forte da trascinare la pellicola in un trip metafisico
lunghissimo, alla maniera di Kubrick, riunendo
finalmente in un'unica essenza la sua personalità così tragicamente divisa.
Ecco dove il film si trasforma improvvisamente in un incubo
terrificante, poiché varcare la soglia delle apparenze da sempre impone il
superamento delle proprie angosce più profonde.
Il premio tangibile per tale sforzo sarà tuffarsi in un lago
e prendere finalmente cuore e corpo di Juliette Lewis, mai così sexy nei
panni di una west-end girl, e, scusate se è poco anche questo, la
consapevolezza di sentirsi finalmente VIVO DOPO LA MORTE.
Da vedere quindi, perchè partendo da un cavalli e pistole
post-moderno alla maniera del Dead Man di Jarmush questo film vi
proietta ben oltre, in un universo più salvifico e positivo. Impone una
visione ancor più frammentaria, quasi per sketches, al cui ritmo spesso è
difficile agganciarsi ma che ripaga sulla lunga misura dimostrando, molto
meglio che in Sin City, che è
possibilissimo fare del cinema da un fumetto a patto che autori e spettatori
ne accolgano le trame cangianti e i ritmi peculiari.
Assorbendo questo nuovo linguaggio potrete coglierne
l'esclusiva forza e ritrovarvi completamente assorti in un codice
comunicativo poco frequente che in fondo serve solo da nuovo veicolo per una
storia già vista perché eterna e mai abbastanza capita: quella delle proprie
paure.
Andrea Capanna
|