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A HISTORY OF VIOLENCE

A HISTORY OF VIOLENCE
Titolo originale: id.
Regia: David Cronenberg
Interpreti: Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt, Ashton Holmes, Peter MacNeill, Stephen McHattie, Greg Bryk, Sumela Kay, Heidi Hayes, Aidan Devine, Kyle Schmid, Deborah Drakeford, Bill MacDonald
Soggetto e sceneggiatura: Josh Olson (dal romanzo a fumetti di John Wagner e Vince Locke)
Fotografia:  Peter Suschitzky
Scenografia: Peter P. Nicolakakos
Costumi: Denise Cronenberg
Musica: Howard Shore
Montaggio:  Carol Spier
Produzione: Chris Bender, JC Spink, New Line
Paese: USA  Anno: 2005
Durata:  96'
Distribuzione:  01 Distibution
Sito ufficiale: http://www.historyofviolence.com/

David Cronenberg appartiene di diritto a quella schiera di registi che nel passaggio dal vecchio al nuovo secolo e al capolinea di un sistema produttivo certamente più aperto ai “rischi d’autore”, si sono ritrovati a lottare, a correre contromano per imporre il proprio sistema estetico all’interno del business dell’intrattenimento. Nomi eccellenti: Michael Cimino, Abel Ferrara (che ha dichiarato di recente: Se il film di Mel Gibson The Passion non avesse riscosso tanto successo, probabilmente non avrei trovato i soldi per realizzare Mary), Paul Schrader (il suo prequel de L’Esorcista non è mai stato distribuito nei cinema), George Romero, David Lynch, John Carpenter. Cineasti con costanti problemi di fondi. Uomini di cinema in quanto uomini di idee (essere un Peter Jackson qualsiasi e uscirsene fuori con un remake del remake di King Kong non è un’idea).

   Tre anni dopo l’immeritato flop al botteghino con il lancinante Spider, Cronenberg consegna al grande schermo la vicenda (tratta da un graphic novel di John Wagner e Vince Locke) di Tom Stall (Viggo Mortensen), padre di famiglia e onesto cittadino di un posto nel Midwest americano che dopo aver reagito a un tentativo di rapina uccidendo a colpi d’arma da fuoco due serial killers sputati dall’inferno (sembrano usciti da un romanzo di Barry Gifford), si ritrova a dover fronteggiare un passato ingombrante che credeva sepolto da tempo. Perché Tom Stall, come scoprirà sua moglie Edie (Maria Bello, vista nel serial televisivo E.R. e al cinema in Auto Focus) non è esattamente il tipo di persona che sostiene di essere. Perché rifarsi una vita, cambiare nome, rinnegare la violenza, è impresa sovrumana, praticamente irrealizzabile in un’epoca folle, in una società nella quale il termine “redenzione” suona vuoto (ci provava addirittura il Michael Corleone de Il Padrino III, senza approdare a risultati concreti; per non parlare del vecchio pistolero Clint Eastwood ne Gli Spietati o della macchina da guerra Jet Li nel recente Danny the dog).

   Una storia violenta, dunque: è già tutto nel titolo. “Credo che la violenza venga fuori dall'impossibilità di vivere la realtà che vorremmo. Nonostante tutti i nostri tentativi di evolverci, anche attraverso la tecnologia, la violenza continua ad essere una malattia universale.” sostiene il regista. Se i dialoghi risultano a tratti stucchevoli, se il tema dell’uomo qualunque che diventa di colpo eroe americano da prima pagina o faccia da talk show televisivo avrebbe meritato uno spazio più ampio, Cronenberg è nei movimenti di macchina, nel gelo che anticipa o segue un gesto, uno sguardo dei personaggi (Jack, il figlio maggiore di Tom, adolescente tormentato dai compagni di scuola nell’attimo in cui smette di belare per farsi lupo; Ed Harris, boss orbo che si muove sulla scena come un inquietante Man in Black o un villain hitchcockiano), nella carne (le dita di Tom sul grilletto di una pistola) che aderisce al metallo e con esso pare fondersi, manifestare quella mutazione altrimenti tutta interiore: da Tom a Joey, dall’uomo mite, innamorato e premuroso, al freddo delinquente sulla lista nera della mafia di Philadelphia. Tom, doppio buono di Joey, rifagocitato dalla matrice originaria: dalla propria natura e da un sistema che accoglie e fa crescere individui abili con la pistola o con i pugni (suo fratello Richie, interpretato da un gigionesco William Hurt, stenta a credere che la vecchia testa calda sia riuscito a trasformarsi in un padre e un marito lontano dai guai).

   C’è qualcosa del James Woods di Videodrome negli sguardi, nel portamento di Viggo Mortensen, e anche un po’ del tragico Ralph Fiennes protagonista di Spider. Frammenti di personaggi che riconducono all’unicità delle opere più radicali di Cronenberg, a temi che ricorrono pur nella diversità delle storie raccontate: il rapporto tra corpo e mente, tra esteriorità e interiorità degli individui, tra pulsione, smarrimento e ossessione (Jeremy Irons in Inseparabili e M. Butterfly).

   Come il dittico formato nel periodo 1983-1986 da La Zona morta (da una tra le migliori storie di Stephen King) e La Mosca, A History of violence può essere considerato (tralasciando il finale poco o nulla consolatorio) un passo verso il grande pubblico, gli spettatori che vogliono action, pulp, un pizzico di sesso (non gli hanno fatto girare il seguito di Basic Instinct e il buon David si diverte piazzando una posizione 69 e un quasi stupro coniugale da antologia!) e indubbiamente – ma non per il motivo appena menzionato - un tassello minore nella filmografia del cineasta canadese. È accaduto al Lynch di Una Storia vera: viene meno il desiderio di rivedere un racconto ad effetto istantaneo, troppo lineare per produrre una fascinazione durevole nel tempo (la stessa, poniamo, insita in Crash, ExistenZ, Il Pasto Nudo o Spider). Chi ama le opere di Cronenberg troverà piatta la prima parte del film, storcerà il naso davanti a sequenze non sempre necessarie, specialmente quando risultano francamente didascaliche (l’arrivo in città dei due rapinatori a bordo di un furgone, con la coppia di bulletti spaventata al loro passaggio; gli incontri tra Tom e il classico sceriffo amico dei bravi lavoratori).

   D’altra parte, non è neppure errato leggere A History of violence  sia come film-saggio sul thriller alla Don Siegel, regista immenso e poco conosciuto dalle generazioni più giovani che in veste di omaggio a Fritz Lang: Cronenberg, autore personalissimo occupato a dialogare con gli autori di cinema del passato e che sul passato del cinema pratica un lavoro di dissezione e acuta analisi. Il mezzo cinematografico sfruttato in tutto il suo spettro di particolari proprietà speculative: dalla realtà alla finzione, fino (a ritroso) ai modi di tessere la fiction.

   Sotto questa luce, la pellicola suscita interesse, difende la reputazione di un autentico maestro del cinema contemporaneo ancora lontano (per sua e nostra fortuna) da una resa definitiva alle regole del mercato. La prossima volta, David…”la prossima volta”, per citare una celebre battuta di Crash.

 

(N. G. D’A.)