Titolo originale: id. |
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Regia: Brian De Palma |
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Interpreti: Josh Hartnett, Scarlett Johansson, Aaron Eckhart, Hilary
Swank, Mia Kirshner, Mike Starr, Fiona Shaw, Patrick Fischler, James Otis,
John Kavanagh, Troy Evans, Anthony Russell, Pepe Serna, Angus MacInnes,
Rachel Miner, Victor McGuire, Gregg Henry, Jemima Rooper, Rose McGowan, K.
D. Lang |
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Soggetto e Sceneggiatura: Mosh Friedman (dal romanzo omonimo di James
Ellroy) |
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Fotografia: Vilmos Zsigmond |
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Scenografia: Dante Ferretti |
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Costumi: Jenny Beavan |
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Musica: Mark Isham |
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Montaggio: Bill Pankow |
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Produzione: Millennium Films Inc., Signature Pictures |
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Paese: Germania/USA Anno: 2006 |
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Durata: 121' |
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Paese: Germania/USA Anno: 2006 |
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Distribuzione: 01
Distribution |
Sito ufficiale:
The Black Dahlia Movie |
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Depalmiano/ellroyano:
che significa? Se il primo punto di contatto è il termine “ossessione”, si
accorciano di sicuro quelli che sulla carta figurano come due estremi.
Depalmiano/ellroyano è un film che del cineasta e dello scrittore conserva
l’ossessione voyeuristica e perde clamorosamente la sua sostanza più nera a
causa di due star sopravvalutate quali Josh Hartnett
e Scarlett Johansson (incomprensibile l’ascesa
di questa ragazza slavata e assolutamente negata per la recitazione).
Depalmiana/ellroyana è la Los Angeles fine anni Quaranta ricostruita in
Bulgaria da Dante Ferretti, set perfetto per il consueto gioco di rimandi al
background di classici amati dal regista (Hitchcock,
Welles, Wise, Hawks) ed
autocitazioni
(Scarface, Gli Intoccabili, ma anche Omicidio a luci rosse,
per quanto riguarda la sequenza con K.D. Lang che canta nel nightclub lesbo
e richiama alla memoria una scena analoga con i Frankie Goes To Hollywood).
La
storia fittizia dei due poliziotti amici/rivali Bucky Bleichert e Lee
Blanchard incrociata alla vicenda reale dell’omicidio di
Elizabeth Short
doveva per forza nascere dall’incontro tra un gigante della
letteratura americana del nostro tempo ed il suo omologo cinematografico.
Altrettanto necessariamente, però, il connubio avrebbe dovuto escludere a
priori qualsiasi ingerenza di facce pulite. Se la Johansson sfigurerebbe
persino in una televendita di materassi ortopedici, Hartnett è fin troppo
carino per risultare credibile come ex pugile. Figo, manierato e
sbarbatello: gli cambiano i connotati sul ring e nel giro di pochi minuti
torna come nuovo. Molto meglio Hillary Swank, seducente nei panni della dark
lady Madeleine Linscott; Mia Kirshner (nota in America per il serial
televisivo L Word) in quelli della Short e
Aaron Eckhart che presta faccia e corpo ai tormenti di Lee Blanchard.
E superlative le brevi apparizioni di Rose McGowan e Rachel Miner: ecco
altri due volti della Hollywood di una volta, di quella fabbrica delle
illusioni che nasce e prospera sul vizio e la speculazione. Costruita sul
nulla, a lungo remoto sobborgo di Los Angeles, fino al 1944 Hollywoodland,
come da scritta vistosa sulle colline (in seguito, degrado e intemperie si
porteranno via il “land”), terra di Erich von Stroheim, Lon Chaney e Lillian
Gish, di Roscoe “Fatty” Arbuckle, il più popolare comico americano (secondo
solo a Chaplin) che il giorno dopo aver firmato un contratto da sogno con la
Paramount, diede un’orgia e commise una cazzata abnorme che gli costò la
carriera.
Oro e merda. “Io sono sempre bella quando sto per morire”,
dice Greta Garbo in Margherita Gautier
(1936). Difficile che
Elizabeth
Short, fantasma nascosto in un porno amatoriale, possa aver pronunciato una
frase del genere davanti al suo carnefice. Merda e oro nelle ville dei mogul
californiani arricchitisi negli anni dello sviluppo frenetico e
dell’immigrazione: case solide contro le case di legno marcio dei poveri.
Così, depalmiano/ellroyano è un film che tenta di far sentire allo
spettatore l’olezzo nascosto sotto strati di celluloide, tutta la celluloide
prodotta dagli studios: oltre Jean Harlow, oltre Lauren Bacall, Lana Turner
e Shirley Temple, c’erano ragazze come la Dalia Nera, celebrità morte in
embrione, aspiranti stelle cadute in un fosso prima di sentire le fatidiche
parole “Motore, azione...”
Sempre di ossessioni si tratta. Pane per Ellroy.
Pane per De Palma, cineasta dalla ricca e (salvo rarissime anomalie)
fondamentale filmografia. Peccato che qui, malgrado l’indiscussa bellezza
formale (la macchina da presa vola,
il
piano
sequenza iniziale lascia piacevolmente storditi) manchi quel pizzico di
morbosità in più che sarebbe stato logico aspettarsi.
Veronica Lago
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