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CHRISTOPHER COOK: Robbers

(Einaudi, pp. 444, € 14,50; traduzione di Luca Conti)

 

Eddie è quello col codino, Roy Bob l’introverso psicopatico di turno. Sono soci, se ne vanno a zonzo su una Cadillac, praticano il tiro a segno ogni volta che si ritrovano a corto di sigarette, birra e benzina e un giorno raccolgono sulla strada Della, omicida per caso. Eddie si innamora, a Roy Bob fumano le palle (non è il tipo che al cinema si commuoverebbe con Jules et Jim o con The Dreamers di Bertolucci, potete scommetterci). Dice: "Che razza di compagno del cazzo, amico. La prima passera che ti butta l’occhio addosso, mandi tutto a puttane."

Bella stronza, la tipa. E bugiarda: un’estetista sedicente modella (con quelle brutte caviglie, poi) è più irritante di un’eczema sui genitali. Peggio di un Texas Ranger alle calcagna: "Alto e snello, con stivali neri in anguilla e calzoni di taglio western, camicia di cotone a maniche lunghe e bolo tie nera. La stella d’argento appuntata sul davanti della camicia." Rule Hooks, questo il nome, è un taciturno disilluso che beve Jack Daniels, ha un rapporto inesistente con sua figlia, e ogni tanto concede una botta a letto all’infoiata ex consorte del suo collega Moline.

Vi piace? A me neanche un po’.

Due balordi che giocano con le pistole, il fiato della legge, una donna in mezzo e una lunga scia di sangue nel Sud degli States: c’è troppo di già letto e visto nel romanzo d’esordio di Christopher Cook, giornalista e attivista per i diritti umani che vive ad Austin, Texas con la moglie Corinne Dune, una fotografa francese. Un fiume di pagine che scorre a passo di lumaca e poche idee con le quali un autore dotato di un pur elementare senso della misura, avrebbe potuto sviluppare al massimo un buon racconto oppure un romanzo breve. Darsi un limite, non strafare. Così non è stato, purtroppo. Il frutto scoraggiante di cotanto sforzo è una scipita crime story on the road dall’impianto stilistico copiato pari pari dall’opera omnia di Cormac McCarthy (via i due punti e le virgolette nel discorso diretto, ampio spazio a descrizioni paesaggistiche e così via). Assenti all’appello del lettore scorrevolezza, suspance e coinvolgimento, a favore di una parata di situazioni rubacchiate in ordine sparso da: Joe R. Lansdale, Natural Born Killers, Thelma & Louise, Barry Gifford, Doom Generation e molto cinema americano dei Settanta.

Paragoni campati per aria: Edward Bunker, Elmore Leonard e, appunto, McCarthy. Una bestemmia bella e buona; se c’è un inferno, è lì che avvamperà il tizio che l’ha pronunciata per primo.

Termini ricorrenti nel libro: 7-Eleven; mesquite; ginepro; pascoli; succiacapre; palle (Rule Hooks controlla/sistema premurosamente la sua dotazione ogni volta che entra in scena); birignao; paraurti; limaccioso; profilo; fondoschiena; rilassante; ipnotico; noia (mortale, sì!)...

«Ecco il mio genere di libro» strilla James Ellroy dalla fascetta. Non è vero, non può essere così. Voglio credere che il grande James (sempre sia lodato!) abbia di meglio da leggere tra una ricerca e l’altra per il suo prossimo capolavoro.

"Mi amigo, disse Bernie. Que pasa?"

Beh, 14,50 € per un bidone del genere non sono mica uno scherzo!

(S. B.)