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JAMES ELLROY- Il dubbio letale ( Edizione Bompiani, pag. 76, 6 euro)

 

Il Dubbio Letale:copertina del libro di James EllroyFanculo la pena di morte.

Al di là dell’essere a favore o contro, in uno stato come quello del Texas non si può che esprimersi con «fanculo la pena di morte»: per la faziosità, l’incompetenza e la meschinità politica che ne sorregge l’architettura. E non sono troppo lontane le riflessioni di un certo Beppe Grillo («Bush è il più grande serial killer della storia!»).

Il dubbio letale è l’edizione italiana di un articolo pubblicato da James Ellroy su GQ nel maggio 2000, una manciata di parole che ricostruiscono la vicenda processuale del giovane afroamericano Gary Graham, giustiziato nel giugno 2000 per l’omicidio a scopo di rapina di Bobby Grant Lambert. Unico atto d’accusa: la deposizione contraddittoria di un solo testimone.

Nessuna riflessione etica, nessun giudizio morale, niente di niente sulla tremenda diatriba “è giusto che lo stato uccida chi ha ucciso?”. Lo scrittore punta l’obiettivo esclusivamente sulle modalità con cui nella contea di Harris vengono condotti i riconoscimenti fotografici, i confronti dal vivo, come vengono composte le giurie (gli oppositori alla pena di morte non possono farne parte nei casi di omicidio), la posizione dei giudici («regolarmente dalla parte dell’accusa»), la scelta dei difensori d’ufficio («adatti e poco combattivi») e così via in un putrido crescendo di distillato “american dream”.

Parole crude, quasi impersonali, che si abbeverano tra i verbali della polizia e gli atti processuali per costruire un documento-testimonianza su un omicidio di stato, uno dei tanti.

James Ellroy ritrattoEllroy, semplicemente, trasforma in tragedia ciò che solitamente è semplice statistica. La condanna di Graham non è la condanna di un innocente (è un disadattato che si fa di “Black Molly” e commette rapine, è «un sacco di merda, ladro, stupratore e misantropo »), ma non ci sono prove che abbia commesso ciò per cui è stato giustiziato.

Questo è il dubbio letale:

«Non esiste una risposta alla domanda: “perché la pena di morte è necessaria?". Un solo dubbio mi tormentava. Lasciando uno spiraglio aperto al ripensamento. Non mi interessava la maggior parte delle richieste di grazia fondate sulle attenuanti. Non mi interessavano le statistiche secondo cui la pena di morte discrimina la popolazione di colore. Ma non potevo ammettere l’esecuzione di uomini e donne innocenti».

(A.S.)