RICHARD MATHESON: Io sono leggenda (Fanucci, pp. 218, € 12,50; traduzione di Simona Fefè) |
I libri di Richard Matheson mancavano dagli scaffali delle librerie italiane da troppo tempo. Tutti fuori catalogo, fatta eccezione per Al di là dei sogni (Oscar Mondadori), romanzo fantastico-sentimentale che ha beneficiato dell’eco di una recente trasposizione cinematografica interpretata da Robin Williams. Eppure anche da noi si continua a scrivere che Matheson è uno dei più importanti scrittori del ventesimo secolo: il maestro di Stephen King, l’autore di racconti e romanzi intrisi di un’angoscia che germoglia nel quotidiano e si sviluppa in trame che hanno catturato generazioni di lettori in tutto il mondo proprio grazie all’uso di tempi, luoghi e personaggi immediatamente riconoscibili. Niente scenari gotici o castelli fatiscenti: l’orrore è chiuso tra le mura domestiche (o in cantina, come l’essere deforme che in Nato da uomo e donna narra in prima persona la sua vicenda di abusi familiari), arriva dalla televisione (nel racconto Through channels, indubbia fonte d’ispirazione per Videodrome di Cronenberg), trae forza dagli stati d’animo dei personaggi più che dai topoi del genere (ma dovremmo dire dei generi, poiché, dal western alle storie di guerra, Matheson li ha toccati praticamente tutti). Molto prima di Lestat, vampiro-rockstar inventato da Anne Rice, Io sono leggenda (1954) è un romanzo che vanta un approccio originale al mito dei revenants, tutto giocato invertendo i concetti di normalità e diversità, fino a tendere al massimo le corde della disperazione e della paranoia che attanagliano il protagonista. La storia di Robert Neville, sopravvissuto ad un’epidemia di origine sconosciuta che ha trasformato la popolazione mondiale in creature assetate di sangue, venne in mente allo scrittore ripensando al Dracula di Tod Browning con Bela Lugosi, visto al cinema quando era adolescente. La ripubblica oggi la casa editrice Fanucci, con la nuova traduzione di Simona Fefè ed una postfazione di Valerio Evangelisti che allerta a ragione sul rischio di un mancato riconoscimento critico nei riguardi di “un autentico virtuoso dell’arte del narrare, capace di incursioni multimediali come richiede l’immaginario moderno (...)”. Nato ad Allendale, New Jersey, il 20 febbraio del 1926, Matheson (famiglia di origine norvegese), sviluppa un interesse per la scrittura fin dall’età di otto anni. Le sue prime prove apparvero sul Brooklyn Eagle, una gazzetta locale, ma sarà la rivista The Magazine of Fantasy and Science Fiction a pubblicargli nel 1950 il racconto Born of man and woman, oggi considerato il debutto da professionista dello scrittore. Conseguito il diploma nel 1943, entra nell'esercito per una breve carriera (viene congedato poco dopo in seguito a una ferita), poi, il ritorno alla vita civile lo porta ad iscriversi all'università presso la facoltà di giornalismo. Nel 1957, il regista Jack Arnold adatta per il grande schermo The Incredible shrinking man (Radiazioni BX distruzione uomo) e per Matheson, che malgrado la giovane età ha ormai ha alle spalle una discreta produzione letteraria, si tratta di un altro debutto, stavolta come soggettista e sceneggiatore. La lista dei suoi lavori per il cinema e la televisione è molto lunga e passa dalla collaborazione con Rod Serling per Twilight Zone al ciclo di Roger Corman dedicato ad Edgar Allan Poe (House of Usher, 1960; The Pit and the pendulum, 1961; Tales of terror, 1962; The Raven, 1963), poi da Jacques Tourneur, dalla serie Star Trek del 1966, dal debutto di Spielberg con Duel (1971). Entro il 2004 dovrebbero vedere la luce (anzi, il buio della sala cinematografica) un remake di The Incredible shrinking man e, in Italia, The Box, fresco di listino nella stagione americana. I am legend (oggetto di cicliche attenzioni da parte di registi e produttori) ha finora ispirato due film: L'ultimo uomo della terra (1963), coproduzione italo-americana diretta da Ubaldo Ragona/Sidney Salkow e interpretata da Vincent Price; poi, nel 1971, The Omega Man (1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra) con Charlton Heston e la regia di Boris Sagal. Nessuna delle due pellicole ha soddisfatto le aspettative dell’autore, sovente disposto a riconoscere una più diretta filiazione ne La Notte dei morti viventi di George Romero. La versione del 1963, in particolare, pecca a suo avviso nella scelta di Price come protagonista, mentre sulla seconda le riserve nascono da un vistoso stravolgimento del romanzo. Robert Neville è l’ultimo rappresentante della vecchia razza, la ‘leggenda’ del titolo, l’anomalia all’interno di un mondo mutato (ancora il cinema: come non pensare a 28 Giorni dopo di Danny Boyle?). Annichilito dalla perdita dei suoi affetti più cari, sopravvive barricato in casa alternando giorni votati all’oblìo (la bottiglia di whisky a portata di mano, il fantasma della moglie Virginia, le ferite che si procura volontariamente) ad altri – non meno difficili – nei quali si fa strada il desiderio di indagare sull’origine del collasso. Al crepuscolo, i vampiri tornano ad assediarlo: può tenerli lontani con una collana d’aglio, una croce, uno specchio ed eliminarli con un paletto di legno appuntito. Li combatte con gli oggetti della superstizione, ma qualcosa gli dice che non può essere tutto lì. C’è dell’altro e non sarò certo io a raccontarvelo, rovinandovi il piacere di una lettura emozionante. Giunto all’ultima pagina, ho chiamato l’ufficio stampa della Fanucci per sapere se tra i programmi futuri della casa abbia trovato posto l’idea di dedicare una costola della ‘Collezione Immaginario’ al resto della produzione di Matheson. Purtroppo, sembra che al momento il caso Io sono leggenda sia del tutto isolato.
Nino G. D’Attis |
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