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28 GIORNI DOPO |
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Scimmie chiuse nelle gabbie di un laboratorio davanti a un muro di schermi che trasmettono ininterrottamente un blob di immagini cariche di violenza. Animalisti troppo accecati dall’odio verso chi sevizia le piccole creature per prestare attenzione alle parole di un ricercatore: "Non fatelo. Non aprite le gabbie!" Neanche a dirlo, l’avvertimento viene registrato di sfuggita e in ritardo. Gli animali infetti attaccano i loro salvatori. Il virus misterioso (una forma di rabbia particolarmente evoluta) si fa strada in un amen ed è così che, 28 giorni più tardi, risvegliandosi dal coma nel reparto di terapia intensiva di un ospedale londinese, il giovane Jim (Cillian Murphy) precipita in un incubo disturbante che ha inizio quando scopre di essere un sopravvissuto. È come ritrovarsi in un cupo ‘survival gamè genere Silent Hill o Resident Evil fotografato da Anthony Dod Mantle (Dogville) e sottolineato dalla musica post-apocalittica dei Godspeed You! Black Emperor. Apprendiamo i fatti attraverso gli occhi di Jim: l’epidemia si è diffusa prima del suo ritorno alla vita e adesso Londra è deserta, Manchester sta bruciando. Non c’è acqua, il cibo fresco scarseggia (progressiva dissoluzione del potere rassicurante delle merci), Picadilly Circus sembra Ground Zero e i messaggi lasciati dalla gente in fuga sono notizie di persone già morte o mutate. Le vetrine dei negozi riflettono l’assenza assoluta di consumatori: deperimento e perdita che in poche, efficaci inquadrature aiutano Jim e noi a ricostruire gli eventi.Correre. Costruire molotov per difendersi. Cercare altri scampati. Forse non solo la Gran Bretagna ma il mondo intero è stato spazzato via dal flagello. Chiunque sia stato contagiato non muore, non diventa un cadavere che cammina ma si trasforma nel giro di pochi secondi in un essere aggressivo più agile del normale. I segni sono simili a quelli dell’Ebola. Il virus si trasmette attraverso il sangue. Le speranze sono drasticamente ridotte al lumicino (alla radio, un messaggio preregistrato dai militari indica una località segreta da raggiungere). Non meno dei capolavori di Carpenter (la scena del taxi nel tunnel rimanda a 1997: Fuga da New York) e della trilogia romeriana sui morti viventi, l’ultima pellicola di Danny Boyle (Piccoli omicidi tra amici; Trainspotting; The Beach) è un’opera dalla superficie horror contraddistinta da un forte nucleo di critica sociale. Il regista ammette di aver letto la sceneggiatura di Alex Garland pensando a un film che parlasse di un’infezione pronta ad attecchire in una società collerica: "Ne abbiamo prova ogni giorno, basta guardare la rabbia nelle strade, sugli aerei, negli ospedali e persino nei supermercati". È il racconto di un collasso e del tentativo di restare in piedi malgrado tutto. L’istinto di conservazione cambia il timido protagonista nel corso della sua disperata ricerca di una via di salvezza: da orfano si ritrova a dover accudire una nuova famiglia messa insieme con i residui di affetti appartenuti ad altri; da pacifico pony in bicicletta si trasforma in assassino. A ben vedere, anche il maggiore dell’esercito britannico Henry West (Christopher Eccleston, già apparso in Piccoli omicidi tra amici) non è altro che un ‘padrè che vuole risparmiare ai suoi soldati la morte o la follia ingenerata dalla disfatta sul campo della speranza. West ha catturato uno dei mostri (l’omaggio più esplicito a Day of the dead di Romero) e aspetta di vederlo morire di fame. Come il tragico Kurtz di Cuore di tenebra, vive arroccato in una villa-fortino circondata dai boschi. L’uniforme gli suggerisce che l’unica cura accettabile consiste in una buona scorta di munizioni da scaricare sui corpi dei nemici.Girato in digitale nel corso di nove settimane, 28 Giorni dopo è un western del XXI secolo dal ritmo tutto in crescendo. Boyle abbraccia lo script di Garland concentrandosi in una sorta di realismo onirico sui ripetuti ritorni alla vita di Jim (ogni rinascita implica un ulteriore rivelazione del sé) e sul conflitto che scaturisce dal bisogno ("Se sei vivo, devi per forza aver ucciso qualcuno", sentenzia West) fino ad interrogare l’istante della sopraffazione. Si respira uno stato di grazia (intesa principalmente come libertà sul set) dovuto alla DNA Films di Andrew McDonald, produttore giunto alla sesta collaborazione con Boyle, che ha garantito il prodotto finale per la Fox. Applausi meritati al XXIII Fantafestival in una sala piena come un uovo per una pellicola qualificata da un eccellente cast artistico e tecnico al servizio di uno tra i pochi registi europei attualmente degni di nota. Fabrizio V. Giarusso |
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