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RICHARD MATHESON: Incubo a seimila metri

(Fanucci, pp. 308, € 14,00; traduzione di Maurizio Nati)

 

L’anno 2003 sparava le ultime cartucce quando chi RICHARD MATHESON: Incubo a seimila metriscrive ebbe la bella pensata di chiamare Marina Fanasca, ufficio stampa della Fanucci Editore, per chiedere notizie di eventuali altri titoli di Richard Matheson in via di (ri)pubblicazione dopo l’uscita dello strepitoso Io sono leggenda. La risposta, cortese e telegrafica fu: "Mi spiace, davvero no. Non c’è niente del genere nei nostri programmi futuri". Una medaglia alla segretezza della signorina e un mongolino d’oro al sottoscritto per la dabbenaggine ostentata sul campo. Ci sono disegni imperscrutabili, enigmi da difendere al prezzo della vita. Probabilmente, se qualcosa fosse trapelato anzitempo dal bunker romano di via delle Fornaci, il mondo intero sarebbe stato sotto scacco, minacciato da chissà quale sciagura (missili nucleari a medio raggio? Vampiri psichici? Il TG3 affidato a Paola Perego?). Marzo 2004: siamo ragionevolmente fuori pericolo e con un’antologia di 17 racconti di Richard Matheson tra le mani. Fresca di stampa, abbellita da un’intervista all’autore realizzata nel dicembre scorso da Luca Crovi e Sebastiano Pezzani ai microfoni di Radiodue e da una trascurabile prefazione dell’ex mago del brivido Stephen King (l’ha riciclata: tutte le sue pre o postfazioni paragonano gli scrittori che l’hanno influenzato ad Elvis Presley e a Bruce ‘Bollito Americano’ Springsteen).

Il lungo giro sulla giostra mathesoniana comincia a pagina 17, con la title-track che qualcuno ricorderà in forma di incubo a colori ai tempi della versione cinematografica di Twilight Zone (la regia era di George Miller) e che negli States è addirittura in testa alle preferenze dei fans della vecchia serie televisiva prodotta da Rod Serling. In Nightmare at 20.000 feet (questo il titolo originale), il signor Wilson prende un aereo, si accomoda in poltrona e non riesce proprio a starsene tranquillo perché odia volare, il cielo promette burrasca e fuori dal finestrino c’è un gremlin che ghigna e se ne sta aggrappato all’ala del DC-7. Non serve a niente chiamare la hostess. Allucinazione? Paranoia dura? Pazzia? L’unica cosa certa è che la storiella in questione rappresenta un esempio eccellente di approccio giusto all’arte del narrare, una lezione unica di ritmo, fantasia scatenata, montaggio sagace. Nozioni che magari passano al CEPU ma non alle scuole di scrittura creativa che ci ritroviamo in Italia. A darci il colpo di grazia è poi la particolare attenzione di Matheson nei riguardi di scenari comuni (sovente quelli della sonnacchiosa provincia americana) che si trasformano repentinamente in zone d’ombra: il vostro vicino di casa, il piazzista, il tizio che incontrate tutte le mattine sull’autobus. L’uomo della strada alle prese con qualcosa di inspiegabile. Come Ketchum, il disgraziato, paffuto automobilista che ne I figli di Noè si ritrova prigioniero di una piccola comunità sulla costa del Maine dedita al cannibalismo. Come Elva Keene, l’anziana perseguitata al telefono dalla Morte in Una voce da lontano. Come il Norman che in Primo anniversario ha qualche difficoltà a riconoscere nella moglie Adeline l’altra metà del cielo. E che dire del bellissimo Dai canali (la prima edizione italiana fu tradotta da Carlo Fruttero e Franco Lucentini), che ispirò a suo tempo Poltergeist di Tobe Hooper? E de La legione dei cospiratori?

Dialoghi stringati, storie brevi di nervi in frantumi, di angosce che fanno sbandare la realtà e riportano a Poe, probabilmente l’unico grande maestro di Matheson, un nome altrettanto rivoluzionario per la carica di realismo iniettata nel tessuto narrativo.

Sorprende a pagina 4 l’annuncio: "Di prossima pubblicazione Duel e altri racconti". Il pensiero corre a Marina. L’avranno comunicato anche a lei?

 

(N.G.D’A.)