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TOMMASO PINCIO: La Ragazza che non era lei (Einaudi, pp. 304, € 14,80)

Intervista all'autore

 

“Una volta aperta la porta al concetto di falso, si è portati a immaginarsi di vivere in una realtà completamente differente."

(Philip K. Dick)

 

"Il tempo è colmo di presente, così come lo spazio è colmo di presenze: non c'è più tempo per il passato e per il futuro, così come non c'è più posto per l'assenza."

(Mario Perniola)

 

Dove siete in questo momento? Probabilmente in cammino erratico dentro altri labirinti, fortezze, bagni penali, spazi imprecisati senza via d'uscita della letteratura, del cinema, dei fumetti, dei videogames. Oppure alla fermata di un autobus in ritardo di quaranta interminabili minuti, le mani affondate nelle tasche dei jeans, gli occhi ipnotizzati dal volo acrobatico di un moscone che alla fine sceglie di posare le zampette su un enorme cartellone pubblicitario della Ubik Risparmi & Prestiti.

   Siete lì a ciondolare sul marciapiede, senza niente da leggere. E magari sono le due del pomeriggio, il sole vi picchia in testa e state pensando che (maledizione) non è da voi aspettare l’autobus senza una via di fuga, sprovvisti di un buon libro tra le mani. Un grande romanzo come La Ragazza che non era lei, ad esempio. L’opera numero quattro di Tommaso Pincio, di sicuro il  più avvincente tour de force inventivo fin qui proposto dallo scrittore romano che da anni ha scelto di nascondere la sua vera identità dietro questo curioso pseudonimo.

   “Dove siete in questo momento?” è una buona domanda, ma, cercate di capire, per Laika Orbit, ventiquattro anni e il cassetto dei ricordi improvvisamente vuoto, la risposta non è semplice. È stata abbordata da uno strano tipo all’interno di un fast-food (“un posto come ce ne sono a migliaia, sparsi un po’ ovunque per tutti gli Stati del mondo reale”) e, pur senza essere stata trafitta dal classico colpo di fulmine, si è ritrovata di punto in bianco a seguire lo sconosciuto in un folle altrove. Un regno di polvere pericolosa e strane regole sociali, una mappa di località mai sentite nominare prima: Ghiaccia, Ghibli, Ghetto, Ganesha, Glo Glo, Granone, Gurge e così via fino alla desolante Cloaca Maxima (occhio: a meno che non siate in cerca di brutte sorprese, evitate di alloggiare al Déjà-vu Hotel, mi raccomando).

   Lui si chiama Zxyz e si esprime preferibilmente eliminando le vocali. Lui sostiene di essere un genio dei numeri come Alan Turing, scienziato inglese talmente precoce che all’età di ventidue anni insegnava al King’s College di  Cambridge ed era già alle prese con il progetto di una “macchina intelligente". Lui le dice che tutto andrà per il verso giusto e poco a poco svela a Laika dettagli del suo passato: anni Sessanta, San Francisco, il Delysid (Lsd-25), Ken Kesey Viaggiatore Intrepido a bordo di un bus dipinto con colori psichedelici e battezzato “Furthur”, gli hippies, A Day in the life e tutto il Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, la lunga estate dell’Amore, una giovane di nome Kinky Baboosian (che immagino modellata intorno alla figura di Carolyn ‘Mountain Girl’ Adams) in fuga dalla piccolissima città di Skatchawathapsie, un intrippato duro che tutti chiamano Boom.

  “Ci avevo questo pensiero di lei nelle viscere del cervello e boom, me la ritrovo davanti. Un’autentica proiezione astrale. Lì per lì, cioè. Quel genere di cosa.”

   Scatole cinesi: apri la prima e sai già che non è finita lì. Pincio ne sfrutta il meccanismo per costruire un romanzo che parla di destino e dissoluzione partendo da un’iniziale frammentazione/dispersione delle immagini della realtà. Espone dickianamente il lettore alla meraviglia, allo sbigottimento di un trip nelle lacerazioni di qualsiasi prospettiva (al dolore della morte si sovrappone in diverse pagine quello della vita) per poi ricordarci che la sua è una scrittura suggestionata dalla scrittura e come tale risulta tanto più efficace quanto più vicina ai margini di fraintendimento della cosiddetta realtà.

   Così l’America non è l’America, ma il modo in cui uno la immagina dopo averne sentito tanto parlare, dopo averne visto i colori sul grande o sul piccolo schermo. L’America è lo spettacolo sgradevole di sogni, utopie che si liquefano e ricompongono in forma di merci sotto gli occhi un bambino autistico: l’amaro risveglio è dietro l’angolo, serve al più presto una botola aperta su un altrove, su un universo parallelo.

   La fuga più bella (e onesta, infantile, non mediata dal calcolo) che un libro possa offrire è di sicuro un tour che include tappe in altri libri, in opere firmate da altri autori. William Burroughs non si vede, ma se ne avverte la presenza. A Cloaca Maxima, sorta di Interzona, si parla di lui come di un investigatore psichiatrico specializzato in pedinamenti psicosomatici e ritrovamento degli stati di coscienza. Philip K. Dick, "corpo del reato" citato e riscritto meravigliosamente in M. (Cronopio, 1999), aleggia adesso in una Waste Land di eliotiana memoria. E aleggiano anche William Gibson, Kafka e il Tom Wolfe di The Electric Kool-Acid Acid Test in questa storia di visioni fantasmatiche con colonna sonora che include How to disappear completely dei Radiohead, White Rabbit dei Jefferson Airplane e (bonus track) i Joy Division di She’s lost control.

   La Ragazza che non era lei è un romanzo di fusioni mentali, di emarginati incerti sui contorni della propria identità, ritratti nell’atto di tirarsi fuori proprio come Homer Alienson e Kurt Cobain in Un Amore dell’altro mondo (Einaudi,2002). Lirico, fin quasi al poetico: “Tutto sommato mia madre ha fatto bene a non darmi subito un nome. Fateci mente locale, i nomi servono soltanto a nascondere la nostra essenza numerica. Sono tentazioni di esistere, chimere.”

   Dalle parti di Donnie Darko.

Nino G. D’Attis

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