|
||||||||||||||||
SPIDER |
||||||||||||||||
|
||||||||||||||||
È una lotta contro la memoria scompaginata, un inseguimento contromano filmato per passi lenti. Ci si adatta alla nozione di tempo di Spider, alla sua percezione visiva della struttura del campo che lo separa da qualsiasi oggetto. Vecchi muri scrostati, macchiati di muffa, fanno da sfondo ai titoli di testa. Un treno arriva in stazione e la macchina da presa ci conduce dal protagonista, saltando i volti anonimi degli altri passeggeri. Con un processo apparentemente indolore, la sequenza iniziale azzera il movente (andiamo a vedere il nuovo film di Cronenberg) e sostituisce al nostro sguardo quello di Spider. Non è dunque Ralph Fiennes ad entrare in scena sbalestrato, incerto, palesemente danneggiato dentro. Siamo noi a farci carico di questo trascinare i piedi, mormorare frasi sconnesse in un flusso bradifemico e ininterrotto, tra mozziconi di parole che affiorano di tanto in tanto a denti stretti. Assumiamo gli indizi di una tragedia, il compito gravoso di chinarci a raccogliere i pezzi di un puzzle scaraventato per terra. Lo sguardo e la percezione dell’insieme sono cambiati: il presente offre elementi sinistri con i quali riempire i buchi del passato (la mole minacciosa della centrale del gas, vista da una feritoia; un fazzoletto di terra da scavare; le foto ritagliate da una vecchio rotocalco erotico). Rispondendo all’esigenza di soddisfare i bisogni affettivi, il delirio d’immaginazione psicotica organizza un altro set, ripartisce i ruoli dei fantasmi dell’infanzia. Lo scenario è povero e squallido, somiglia alla valigia di cartone piena/vuota di reperti di un’altra epoca. Giù nella periferia est di Londra, primi anni Sessanta: mamma è dolce e bella quasi come una diva del cinema e svela a Spider i segreti del mondo dei ragni. Papà (Gabriel Byrne) è un uomo ombroso e di poche parole che ogni sera va al pub The Dog And The Beggar a farsi una pinta (anche più di una). Spider è un bambino solitario, affascinato dalle funi che, intrecciate ad arte, gli ricordano le ragnatele. Una sera, papà perde la testa per una donnaccia di nome Yvonne, se la scopa e spezza il cuore alla mamma. Già che c’è, le spacca anche la testa con una badilata. Poi tenta di convincere Spider che la battona bionda in pelliccia leopardata è la mamma. Non è vero. Non può essere vero. O forse sì, chi può dirlo con tutta quella confusione in testa? Psicodramma per se stessi: quando la confabulazione inconscia raggiunge livelli di saturazione insostenibili, aumentano le possibilità di far affiorare una realtà dei fatti capace di sgretolare violentemente le menzogne di una vita intera. Prima di Spider si era molto parlato di un sequel di Basic Instinct diretto da Cronenberg ma il progetto non è mai andato in porto e il regista canadese, dopo le ottime prove ottenute con Naked lunch di Burroughs e Crash di Ballard, è tornato ad occuparsi di letteratura scegliendo un romanzo di Patrick McGrath. All’inizio, McGrath pensava di scrivere una commedia nera con un idraulico puttaniere e uxrocida, poi la storia ha preso uno sviluppo diverso inoltrandosi ancora una volta (lo scrittore, figlio di un sovrintendente medico, è cresciuto in un manicomio criminale) negli stessi territori di Follia, il suo romanzo più noto, pubblicato in Italia da Adelphi. Era materia per Cronenberg. Questo film lento e straziante, fotografato da Peter Suschitzky e musicato dal fido Howard Shore, non avrebbe potuto portare altra firma. Anche la faccia, i movimenti di Fiennes sono perfetti, incisi nei poveri ambienti occupati da Spider e dai suoi spettri. Perfetta la resa di un flusso di coscienza che a corrente alternata trova sbocco e si blocca, annaspa nell’ennesima impasse afasica. Non c’è consolazione, se non quella (tutta cinefila) del pensare a Spider come ad un’ Invasione degli ultracorpi intimista (come Denti di Salvatores) ma non per questo meno terrificante. (N.G.D’A.) |
||||||||||||||||