GIANCARLO DE CATALDO: Romanzo criminale(Einaudi Stilelibero, pp.628, € 14,50) ( Leggi l'intervista all'autore ) |
|
Il Libanese vuole l’intera città. Tutta l’Urbe, come un imperatore. O come Mussolini. Lui, nato a Trastevere da genitori calabresi, è il cervello di una banda determinata a mettere le mani su Roma piegandola ai propri voleri. Ci sono dentro Dandi e il Freddo, circondati da una corte di facce cresciute sulla strada. Ci sono Bufalo, Nembo Kid, il Secco e Trentadenari. E c’è Vallesi Cinzia, nome d’arte Patrizia ("Mora, pelle morbida e levigata, seni piccoli e sodi, ascelle perfettamente depilate, gambe lunghe, un culo da strappare il cuore."). Desiderio di una vita ai piani alti. Ansia di riscatto. Dalle borgate alle stelle, usando ogni mezzo necessario. Tutto comincia con il rapimento del barone Valdemaro Rosellini in via del Casale di San Nicola, località La Storta. L’ostaggio muore ma sul tavolo resta un bel malloppo: due miliardi e mezzo da dividere o da far fruttare. Il Libanese lo vede come il capitale di partenza a disposizione di una società a delinquere particolarmente ambiziosa. Il suo chiodo fisso è avviare il progetto, la macchina che travolgerà tutti. Sono gli anni Settanta di Califano, del rapimento di Aldo Moro, dell’omicidio Pecorelli e di tanti intrighi che ancora oggi nessuno ha svelato. Fine del boom economico, prime crepe visibili nel sistema politico-istituzionale dello Stivale. La holding del crimine del bel romanzo di Giancarlo De Cataldo è esistita davvero e, nel suo periodo di massima attività (conclusosi nel 1986 con le rivelazioni del pentito Claudio Sicilia e l’acuirsi di feroci faide intestine), si connotò come un potente nucleo intorno al quale arrivarono a fondersi diverse bande di quartiere (Magliana, Acilia, Testaccio). Il fine comune era quello di controllare la Capitale con i sequestri, il traffico di stupefacenti, il gioco d’azzardo, l’usura ed ogni altra attività illecita. La holding condivise armi e strutture logistiche con gli ambienti dell’eversione nera; stabilì legami con uomini d’affari, politici, funzionari dei servizi segreti, oltre che con i siciliani di Pippo Calò e la camorra di Raffaele Cutolo. Sembra un’invenzione letteraria ma il trucco delle armi nascoste all’EUR nello scantinato del Ministero della Sanità fu realmente messo in atto. Il merito di De Cataldo (giudice, saggista, romanziere, autore di testi teatrali) è quello di aver saputo offrire al lettore una narrazione nella quale cronaca nera e fiction giocano in perfetto equilibrio, da poliziesco d’inchiesta, più che da giallo puro. Sono gli elementi che elevano Romanzo criminale a nuovo punto di svolta nel panorama della letteratura di genere italiana dopo Arrivederci amore, ciao di Massimo Carlotto. Lo stile è quello di un film come Goodfellas di Scorsese o, per attenerci all’ambito letterario, (scomodiamo pure un paio di nomi ingombranti), quello dei Grandi Romanzi Americani di James Ellroy (in particolare il ciclo non ancora concluso di American tabloid e Sei pezzi da mille) e di Edward Bunker. E il ritmo non viene mai meno, rafforzato da espressioni gergali che rendono ancora più godibile fino all’ultima pagina questo affresco popolato da figure di malavitosi, poliziotti (puri o corrotti, a seconda dei casi), giornalisti, eversivi, loschi faccendieri della Repubblica. Romanzo criminale come ‘crime novel’. O come un C’era una volta in Italia, perché no? (N.G.D’A.) |