Gangs of NewYork :Il Film , Gangs sul set , Hollywood Gangs |
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LA PERFETTA ILLUSIONE Pillole da GANGS OF NEW YORK di Antonello Schioppa |
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h 21.30 Te la saresti mai aspettata, Jimmy, un'esperienza del genere ? Be...vedi, Terry, ho sempre creduto che i sogni potessero avverarsi. E come é stato, Jimmy, lavorare con un regista tanto celebre ? Grande...semplicemente grande! Parlami di Scorsese, Jimmy, com'é sul set? Non più alto di un metro e sessanta, Terry.
h 00.45 Sai, Terry, cos'ha Scorsese sopra i suoi monitor... ...da cui segue le scene? ...esatto! No, Jimmy, cos'ha! Tre enormi specchi retrovisori. Come quelli delle macchine!? Come quelli dei camion. Accidenti, Jimmy, davvero?! Certo, Terry, certo. Tre enormi specchi retrovisori.
h 21.45 Che cosa ha significato essere entrati in questo set, Jimmy? E' stato come cogliere l'attimo preciso in cui ci si addormenta, Terry, e si comincia a sognare. Hai mai provato a cogliere quel momento, quella infinitesimale frazione in cui...pam...tutto un mondo scompare... e se ne ricompone un altro, in un istante, in silenzio, senza alcun rumore? Strano proposito, Jimmy! Già... (scoppia a ridere), un sordo big bang che lascia agli altri questo mondo, e crea solo per te qualcosa di nuovo ed entusiasmante... o di raccapricciante. Credo che passerei una notte insonne dietro ad un'idea del genere! Lo credo anch'io, Terry, lo credo anch'io...(mi fissa con un sorriso compiaciuto). Ma aver lavorato con Martin (Scorsese, ndr.), in un kolossal del genere, ha significato questo: cogliere ripetutamente quell'attimo! Nel momento in cui Joe (Joe Reidy, il primo assistente alla regia, ndr.) grida l' action, é come essere trascinati dallo stato della veglia a quello del sogno, o meglio, da un binario all'altro degli infiniti mondi paralleli...delle infinite identità che ognuno di noi, probabilmente, vive senza poterlo scoprire. Ok...ma la finzione, Jimmy, la finzione del set: scoprire la cartapesta, le case di lamiera, vedere tutto quello che esiste un attimo prima e dopo la ripresa, l' illusione... Nessuna illusione. O meglio, l'illusione perfetta, che non sembra conoscere trucchi. Cos'e che é finto, per te, Terry? Quello che non é reale, che simula la realtà... Esatto. E sul set non ho visto nessuno simulare! Ho visto solo il cinema essere vita. Quando sullo schermo vedi qualcosa di forte, di bello, di emozionante...é così anche durante le riprese, non si tratta di trucco. Il Titanic non affonda solo grazie al computer e al montaggio, ma la storia vive soprattutto perché la senti accadere dentro i personaggi. Questo é stato evidente osservando la maniera in cui lavora Daniel Day Lewis: é impossibile distinguerlo dal suo personaggio durante i momenti di pausa, tranne che per la sua sorprendente gentilezza (sorride). Si porta dentro di sé ogni scena, dopo lo stop, ed é facile notare come se la fa maturare dentro. Di Caprio é un buon attore, ma i suoi personaggi hanno sempre lo stesso taglio, ed é quindi molto più semplice per lui entrare ed uscire dalla parte. Lewis é invece estremamente camaleontico, capace di interpretare ruoli assai diversi l'uno dall'altro, proprio perché sa lavorare con estrema meticolosità su ogni gesto: é stato molto interessante osservarlo coltivare il proprio ruolo dentro di sé momento dopo momento. E'costantemente alle prese con un difficile lavoro interiore, che lo porta pian piano ad essere qualcuno molto diverso da sé in ogni dettaglio.
h 22.20 . ..e Scorsese, Jimmy, in che maniera entra in questo processo?Scorsese naturalmente é molto presente nel lavoro di chiunque, sul set, ma in fondo si tratta di una squadra molto affiatata, ognuno fa la propria parte con la massima sicurezza. Michael Ballhaus (il direttore della fotografia,ndr.) é stata una vera sorpresa: Scorsese deve molto alla sua capacità visiva...ripensa all' Età dell'innocenza: i morbidi movimenti di macchina, la composizione cromatica attraverso i fiori, i quadri e gli ambienti... si trattava sempre di lui! Stessa città, stesso periodo, sempre D.Day Lewis... ...ma si tratta di tutt'altra storia, non a caso il suo nome ora é Billy the Butcher, il macellaio.Scommetto che anche questa volta punteranno all'oscar per i costumi... Per i costumi e la REGIA, naturalmente! (accenna un inchino di devozione, sorridendo). Il grande merito di Scorsese é di essere l'unico sul set costantemente allegro: ogni suo intervento finisce con una battuta e una risata...anche se molto spesso é l'unico a non resistere al suo umorismo (ride). Io l'ho trovato estremamente divertente, anche non capendo quasi mai il suo americano, ma che bisogno c'é n'é? Basta osservare il suo modo di parlare, di muoversi. Un uomo estremamente frenetico, elettrizzato, sempre preso ad intrattenere i suoi collaboratori, ma allo stesso tempo capace di entrare, in un istante, dentro quello che sta facendo, e di essere anche severo, naturalmente. Dev'essere stato grande vederlo girare! Già...(sorride un po' nostalgico) Durante ogni ripresa i suoi occhi si caricano di una specie di apprensione paterna. Di solito segue tutto dal monitor, ma a volte capita anche che si posizioni al lato dell'operatore: allora é facile leggere nelle mani congiunte attaccate al mento e negli occhi attenti che staccano continuamente dall'attore all'operatore, con un'apprensione davvero paterna, che cosa significa per lui quello a cui sta dando vita. Vedere questo cinema dal di dentro é indescrivibile. Entrare in Gangs of New York ha significato aver capito che non si tratta di un fantastico gioco di illusioni, ma della vita vista dal di dentro. Stare 15 ore al giorno chiusi in un teatro di posa, lontano da tutto per giorni e giorni, ha significato essere paradossalmente più vicini al mondo, essere fisicamente, assieme ad altre persone, altrove... dentro ciò che sembrava non poter accogliere neanche un briciolo di materia.
h 22.40 Che ricordo hai della tua prima scena, Jimmy? Un lungo piano sequenza, che sicuramente non rimarrà tale nel montaggio finale, girato non meno di venti volte, prima che Scorsese uscisse dal suo "gazebo" per benedirci con un elettrizzato "excellent!". Una lunga scena di steadycam che scorre lungo il pontile del porto, sul quale si muovono Lewis e Di Caprio, alias Bill the butcher e Amsterdam. Una splendida e selvaggia N.Y. del 1860 che ingabbia centinaia di comparse: soldati nordisti, puttane, bambini che corrono dietro ai cavalli...ovunque ti girassi, capivi che il ciak aveva dato vita a qualcosa che non sembrava più poter essere controllato.
h 23.50 ...il buio della sala, la perdita della propria identità...mi vengono in mente gli studi di psicologi come Michotte su questo strano fenomeno di partecipazione che colpisce lo spettatore, pur essendo consapevole di assistere ad uno spettacolo... Hai ancora paura del buio? Cosa ? (ride) Vedi, Terry, non serve a nulla ripeterti che é solo un film mentre Sonny Corleone si contorce sull' asfalto quando viene fatto fuori dai suoi nemici, e ci mette troppo a morire. Serve a poco pensare che James Caan ha fatto i soldi e prende il sole a Miami. Lui ora é lì, davanti a te, sull'asfalto, e ci mette troppo a schiattare. Non possono che venirti le convulsioni...soprattutto se sei un bambino di sette anni (sorride compiaciuto) Non é solo questione di essere al buio, seduto, e di perdere il senso del proprio corpo. Il fatto é nel come ti poni davanti ad un film. Si tratta di un gruppo di persone che filmano qualcuno che finge d'essere qualcun'altro, oppure c'é qualcosa in più? Quando Godard afferma che senza il cinema non avrebbe saputo di avere una storia, perché filmare per lui é mostrare ciò che sente e sentire ciò che mostra, allora non puoi pensare di avere davanti qualcosa di finto mentre sei davanti ad un suo film! Capisci? Esiste un determinato tipo di cinema: farlo e guardarlo é un po' un atto di solitudine, é la solitudine perenne dell'anima racchiusa dentro le leggi fisiche della materia, dentro le regole del quotidiano. Crescendo pian piano si é portati a dimenticare i molteplici mondi esplorati da bambino, per finire ad abituarsi ad un solo modello di realtà. All'aumentare del nostro peso aumenta la forza di gravità che ci trattiene a terra, e si fa sempre più fatica a non essere altro che la medesima persona, con lo stesso nome, gli stessi pensieri, lo stesso passato. Per tutta la vita rinchiusi sempre e comunque nello stesso mondo, che diventa sempre più stretto: non si può non cercare di fuggire da tutto questo, o per lo meno di capirlo, di compensarlo, di riuscire ad entrare in contatto con gli infiniti altri noi stessi sparsi chissà dove. E' l'unico modo per capire qual' é la propria storia, e soprattutto se ce n'è una. Mi viene in mente il finale di un bellissimo film di Gilliam, L'esercito delle 12 scimmie... Devi vedere La Jeteé di Chris Marker da cui é tratto! ...quando il protagonista bambino assiste alla sparatoria nell'areoporto: ha davanti a se un uomo colpito a morte alle spalle, e lo vede morire sotto i suoi occhi, senza poter sapere che si tratta di se stesso... adulto! Non ti seguo...(ride) h 00.15 (l'ultimo bicchiere) Il cinema non é che una strada che ti porta verso l'immortalità... Per poi farti morire! (sorride osservando la sua terza birra) Accidenti, Jmmy, la tua birra é arrivata da dieci minuti e non l'hai ancora toccata! (sorride) Stavo solo cercando di guadagnarmela, Terry (accenna una smorfia e tira giù mezzo bicchiere) . Alla tua, Terry! Alla tua, Jimmy!
h 23.45 Gli interni si stanno girando nel teatro 5, lo stesso dove girava Fellini. Si tratta della ricostruzione di un tearo popolare, pieno di razze diverse: poveri irlandesi, ricchi nativi americani, gangs di ogni specie...tutti ad assistere, guarda caso, alla rappresentazione de La capanna dello zio Tom...che sarà un po' movimentata! (sorride giocando con il sottobicchiere) Per quanto tempo si gira a Cinecittà, Jimmy?
Fino alla fine...circa sei mesi.
Hollywood ancora a Cinecittà: l'ennesima New York firmata Martin Scorsese, per la prima volta vista però dall'altra parte dell'oceano, dal paese che il regista si é sempre portato dentro attraverso la Little Italy newyorkese e il cinema con il quale è cresciuto.
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