La costruzione di una
buona storia, perfino di un’intera serie, passa necessariamente
attraverso la voce, il carattere dei personaggi che la animano. Partendo
da tale presupposto è possibile spiegare ad esempio il successo dell’ex
agente della CIA Jason Bourne creato da Robert Ludlum, dei supereroi con
superproblemi dell’universo Marvel, del Montalbano di Camilleri o del
Dr. House. L’assenza di bidimensionalità è un aspetto che rende molto
interessante fin dalle prime pagine Hieronimus (o più semplicemente
Hiero), protagonista del nuovo romanzo solista di Guglielmo Pispisa,
componente del collettivo di scrittura Kai Zen. Hiero, figlio di una
raeliana che ora vive in una comune in Canada con il nome di Oona e di
uno studente di filosofia finito tra le maglie della lotta armata
nell’Italia degli anni di piombo, si presenta al lettore nel giorno del
suo funerale: è morto tra fuoco, pioggia di cristalli e lamiere contorte
in un incidente d’auto all’imbocco di un tornante e si prepara a
rinascere con documenti nuovi, aiutato da Aristotele Gheorghiu, pezzo
grosso dei Servizi, “Categoria: spiacevole, istruttivo, pericoloso”.
Un avvio immediato,
spettacolare e al tempo stesso intimo (alla maniera di certi personaggi
di Truffaut come Antoine Doinel o il Bertrand di L'uomo che amava le
donne per la spinta a dischiudere un intero spettro emozionale) che
gira magistralmente intorno alla messinscena di una liquidazione:
“Guardo il cielo di latte acido; un velo di caglio incombe sull’arida
terra e su noi peccatori. Aspiro l’ennesima boccata dalla
sigaretta e sento i polmoni invasi dal fumo caldo,
misto all’aria del mattino.
Fumare ormai non può più
farmi male, visto che sono morto tre giorni fa. Schiattato, passato nel
regno dei più.
Finito. Sottratto al
terreno fardello che tutti ci portiamo dietro. Che tutti si portano
dietro. È stato un bell’incidente, ottima coreografia, e io mi intendo
di queste cose, non parlo tanto per parlare. L’auto sbanda imboccando un
tornante – quella maledetta ghiaia sull’asfalto –, abbatte il guard-rail
e precipita nel fosso. Precisa precisa, manco avessero disegnato la
scena apposta.” Hiero infila insomma l’uscita di sicurezza per tuffarsi
in una vita nuova. Nel far questo, si preoccupa di metterci a parte dei
fatti relativi alla sua vita precedente, ad un’incarnazione anteriore
fatta di esistenze separate (una in Canada tra i raeliani, l’altra in
Italia insieme all’ottuagenaria Giacomina) e di molteplici ruoli sulla
scena delle trame oscure che da sempre – così si dice, si presume, si
sospetta - fanno girare il mondo.
Come tutti, l’antieroe
di Pispisa è stato bambino: la medaglietta di Santa Barbara appesa al
collo, una certa inclinazione alla risposta violenta se provocato oltre
un certo limite dai suoi compagni di scuola: “Poi era arrivata la prima
elementare. I primi due giorni ero tornato a casa con gli occhi gonfi di
lacrime e il colletto macchiato di penna biro. Ciò non aveva destato
molta attenzione, gli inizi sono difficili, si sa. Maggiore interesse
avevo suscitato il terzo giorno, tornando a casa tranquillo, con le
unghie e il grembiule sporchi di sangue, non mio.“ È cresciuto con le
filastrocche di Giacomina, con un vecchio libro di haiku appartenuto al
padre che non ha mai conosciuto, con uno sguardo particolare sul mondo e
gli esseri che lo abitano. Più avanti, scopriremo, è diventato allievo
di un “maestro d’inganni”, marionetta in un teatro di démoni, interprete
di recite sempre più nuove e fantasiose popolate da uomini e donne che
vivono nella tenebra degli intrighi, dei veleni e della grossolanità
morale.
Nuovi documenti. Nuova
identità. Un passato pieno di nodi non ancora sciolti. E la crudeltà di
certe ombre non si attenua con gli anni, l’esperienza, il disincanto.
Ecco cosa ha catturato immediatamente la mia attenzione: il protagonista
de La Terza metà è qualcuno che vedi, che senti davvero, che hai
voglia di ascoltare mentre ti racconta la sua storia personale collocata
all’interno della traiettoria di eventi più grandi che riguardano la
nostra nazione tra il vecchio ed il nuovo terrorismo politico.
Non basta, a pagina
121 Pispisa ci porta sotto i ponti della Senna, sulle banchine di
Parigi, per farci conoscere il Magister, clochard attorniato da cinque
amici immaginari che ascoltano le sue memorie di uomo da marciapiede
carico di aneddoti. Anche qui il racconto di una vita precedente, ora
scanzonata e picaresca, ora drammatica, diventa chiave di volta
dell’intero romanzo: il sé diviso, riflesso emblematico di una società
dissennata e sporca di fango. Reminiscenza che è esperienza consunta,
toccante bagaglio di sentimenti sciupati. Memoria che riesce a farti
avvertire la presenza di tutti i personaggi, anche di quelli secondari,
delle comparse addirittura. Disturbati, disturbanti, impietosi,
tratteggiati con sicurezza e felicemente inseriti in una spy-story
atipica, scritta con cura ammirevole, da artigiano in possesso di un
talento particolare nel costruire personaggi e circostanze che tendono a
strabordare dalla pagina. Spessore agli snodi narrativi, consistenza e
credibilità dei dialoghi si riflettono nella concezione spaziale sottesa
proprio al romanzo dell’autore messinese. Aspro - va da sé - e con uno
stile molto elaborato, difficile da dimenticare.
(N.G.D’A.) |